domenica 14 novembre 2010

The social network

Come instant-movie è perfetto, eventuali enfatizzazioni aggiungono colore a un racconto molto preciso di come avvengano le cose in America, in quelle università blasonate, con rette stratosferiche, che permettono l'accesso a genietti benestanti che possono trovare altri meno geniali ma più dotati di acume finanziario e capitali per dare corpo ai sogni.

La storia raccontata non ha nessuna importanza, contano solo i dettagli: le confraternite universitarie, i venture capitalist che ci mettono i soldi, la violenta e redditizia estromissione di chi non è più utile o addirittura pericoloso per la compagnia.

Tutte cose che da noi sono impossibili da fare: da noi non si fa gioco di squadra, ci si becca come i polli di Renzo in infiniti battibecchi improduttivi, o in aule di tribunale dove le cause si trascinano per anni, mentre nel film vediamo che tutte le controversie si sistemano da gentiluomini con duelli rituali assistiti da avvocati poco azzeccagarbugli.

sabato 16 ottobre 2010

Fuori dal mondo

Nel mio romanzo Il sale sulla coda racconto che gli abitanti della parte alta di Posillipo a Napoli dicono che andare oltre la discesa Coroglio e verso Bagnoli e andare a fora 'o munno, cioè uscire dal mondo. E dal loro punto di vista, di abitanti del posto più bello del mondo, è giusto pensare che uscire da una location preziosa è andare fuori dal mondo.

Cosa che non comprendono le aziende che stanno in posti periferici rispetto al centro del mercato, e non parlo solo dell'azienda di Potenza rispetto a Roma o di quella di Portogruaro rispetto a Milano, parlo anche di aziende che hanno il loro quartier generale in posti fuori città, immerse in campagne desolate che, come è bene che sia una campagna, deve essere lasciata alla vacche e ai carciofi e non certo ad ospitare la sede di un'azienda magari molto orientata al mercato e alla comunicazione.

Ovviamente non si parla di fabbriche, che siano di scarpe o di software, ma si parla di direzione generale, direzione finanziaria e sopratutto di marketing e comunicazione: queste funzioni devono stare dove fare marketing e comunicazione trova alimento di idee e contaminazione da altra gente del marketing e della comunicazione, anche, e sopratutto, di settori diversi da quelli della propria azienda: la contaminazione, come spiega Richard Florida in The rise of Creative Class è l'elemento essenziale per creare nuovi prodotti e questo può nascere solo in posti dove c'è uan massa variegata di persone e dove la loro creatività e magari stravaganza di vita è tollerata, cosa che spesso, nel paesino d'origine dell'azienda, non è possibile perchè s'incontrano sempre e solo i soliti quattro gatti, e di vita stravagante è meglio non accennare proprio per non vedersi sotto l'occhio reprobo del prete, del farmacista e del maresciallo.

giovedì 14 ottobre 2010

Tigre di carta moneta


Riprendo dal blog di Alfonso Fuggetta l'immagine che dice che siamo ancora in crisi e, se interpoliamo la linea della modesta crescita, dice anche che la produzione potrebbe ritornare a livelli pre crisi solo a fine 2013, e sempre che la Germania non costringa la BCE ad alzare i tassi!

Non dovrebbe accadere, anche se ad Alex Weber prudono le mani, così come prudono ai cinesi che sono diventati loro oggi la tigre di carta, carta di bond USA, che detengono a tonnellate, e carta verde dei dollari che gli americani continuano a stampare per sostenere un 'economia di guerra.

Ma, mentre la Germania ha buon gioco con i poveri greci e basta un bau bau per spaventare l'Italia indebitatissima, la Cina ha già perso la battaglia con gli USA: non può fare niente, deve solo sopportare, perchè costringere l'America a comportarsi in modo virtusoso, cioè non stampare dollari, significherebbe bloccare una speranza di ripresa che oggi è molto anemica, e se l'America va in depressione, si ferma l'intero mercato mondiale, paesi del BRIC compresi.

Poi c'è un'altra ragione più strategica: la Cina, grande paese, è un nano militare, con le sue 180 atomiche non fa paura a nessuno, men che mai agli USA che di atomiche ne hanno 2.400 operative e 9.600 da parte, e i cinesi sono saggi, sanno che quelli verso gli USA sono crediti inesigibili, abbozzano e abbozzeranno, che altro possono fare?

mercoledì 13 ottobre 2010

Put the blame on...

Put the blame on mame, boys, canta Rita Hayworth, forse la più bella donna apparsa nel cinema e fuori. Date la colpa a me, ma chi potrebbe mai incolpare una come Gilda, e rimaniamo sconvolti quando Glenn Ford la schiaffeggia, inorriditi quasi come quando abbiamo visto Janet Leigh massacrata da quello psicopatico di Norman Bates.

Ma se guardiamo allo stato della finanza mondiale a chi dobbiamo dare la colpa? Chi deve cantare put the blame on me?

Una colpevole c'è, non ha niente di Rita Hayworth, anzi è sempre stata una cozza, un mezzo scorfano, ma ha saputo capitalizzare l'amicizia delle compagnucce di college diventanto una first lady USA anche se in effetti, avendo per marito un puttaniere bugiardo e assatanato, per otto anni il vero presidente degli Stati Uniti è stata lei, Hillary Clinton.

Una che, non essendo solo assatanata di potere ma anche di denaro, ha fatto smontare il sistema che impediva alle banche di fare le porcherie tali, e cosi complicate, che alla fine nessuno riesce più a venirne a capo e purtroppo nè Barbara Bush madre e neppure Michelle Obama hanno ordinato ai loro congiunti presidenti di utilizzare il potere come Alessandro il Grande: un solo deciso e decisvo colpo di spada per far sparire l'immondizia finanziara i cui liquami stanno distruggendo l'occidentale.

Prima o poi Obama se ne andrà, non ha combinato molto, è solo chiacchiere e distintivo, e al suo posto verrà candidata Hillary Clinton, che nel frattempo si è preoccupata di accasare la figlia molto bene; potrebbe anche vincere, i Repubblicani sono cotti, i Tea Party stanno sfasciando la destra e la Palin non è credibile, è stata usata giusto perché i Rep non volevano gestire una crisi e una guerra in corso, da combattere per molti anni ancora.

Rischiamo che l'Impero finisca in mano a questa specie di Maria Stuarda assatanata di potere e di voglia di stupire il mondo, e quello che ci scodellerá non sará niente di piacevole.

Ne abbiamo già avuta una cosi, la signora (si fa per dire) Meg Thatcher, una guerrafondaia a-sociale, i cui disastri stanno ancora producendo effetti nefasti.

domenica 3 ottobre 2010

Fondersi, cedere o crescere

In Italia ci sono oltre 90.000 aziende del settore Information & Communication Technology, ma è una parziale verità: altre aziende, non censite ufficialmente nel settore, agiscono in concorrenza con quelle del settore e anche fra di loro, creando un mercato opaco, caotico e poco renumerativo.

Agenzie di comunicazione, gente delle PR, società possedute da comuni, regioni, banche e istituzioni si contendono una platea di utenti troppo piccola per un tale numero di venditori.

E poi c'è la crisi dell'economia, che prima o poi vedrà una ripresa, ma lenta e non per tutti.

A questo punto è chiaro che molte imprese devono seriamente interrogarsi sul che fare, e questo assume tre possibilità: fondersi con qualcuno compatibile, cedere baracca e burattini (se valgono qualcosa), scegliere di crescere con una politica di acquisizioni e interventi di investitori che possano immettere capitali per poi approdare verso i mercati borsistici.

Non sono decisioni semplici, non possono essere gestite con il fai-da-te, hanno un grado di incertezza dato dalla valutazione, spesso non in linea con le aspettative della proprietà.

Quello che è però sicuro è che bisogna agire, e agire subito, prima che un'azienda si trovi in un mercato ancora più competitivo, vaso di coccio fra vasi di ferro.

sabato 25 settembre 2010

Castelli di carta

Carmen Reinhart, economista, nel suo This time is different ci racconta otto secoli di follie finanziarie di cui quella scoppiata nel 2007, ma già in ebollizione nel 1994, è solo l'ultima, cui seguiranno, se non si prenderanno rimedi, altre crisi con effetti sempre più devastanti.

In parole povere la signora Reinhart ci dice che le banche mentono sapendo di mentire quando pubblicano bilanci dove si portano voci che non hanno nessun valore, come ipoteche su immobili che nessuno comprerà al prezzo di libro ma, al più, per un prezzo di realizzo... e se si trova il compratore!

Insomma, le banche sono ancora piene di carta senza valore, carta che vale meno della carta igienica, anche perchè questa carta non esiste, sono solo registrazioni in un computer di crediti virtuali creati su altri crediti virtuali, in un groviglio di cui i dirigenti delle banche hanno perso ogni controllo ed anche ogni possibilità di venirne a capo.

Infatti la signora Carmen prospetta una sola possibilità: che i governi mettano mano direttamente sulle banche, cioè le nazionalizzino, caccino a calci nel sedere (e speriamo senza liquidazioni milionarie) i dirigenti ciucci e presuntuosi, risanino i bilanci eliminando tutta l'immondizia finanziaria e le rimettano sul mercato risanate... che è poi una delle cose che dicevo già nel 2009 in questo post !!!

venerdì 3 settembre 2010

Quando la vigilanza dorme

Tre anni dopo la crisi, Bernanke ammette che la Federal Reserve, cioè lui, i suoi predecessori e i suoi colleghi banchieri centrali, sono stati lenti (un eufemismo per dire assenti e del tutto inerti) nell'individuare e gestire gli abusi nella concessione dei prestiti subprime, cui si devono aggiungere operazioni scandalose il cui unico scopo era di spennare i risparmiatori e i mutuatari arricchendo pure la receptionist supponente di una banca di malaffari.

Come avevo detto altre volte - e anche scritto nel mio L'Albero degli Zecchini - le crisi bancarie possono avvenire solo se le autorità di vigilanza non intervengono non appena si accorgono di comportamenti non in linea con le elementari regole di tecnica bancaria: tassi bassi per chi è molto affidabile, tassi proporzionali al rischio per tutti gli altri e nessuna partecipazione al capitale di rischio, attività che devono fare soggetti diversi dalle banche e principalmente il mercato e una borsa sana.

Bernake fa il mea culpa, ma a noi importa poco, non ci da nessuna soddisfazione, anche se s'impiccasse il latte è stato abbondantemente versato; quello che ci interessa è che siano ripristinate - e molto rafforzate - le regole resesi necessarie dopo il '29, regole eliminate da una politica troppo di manica larga per non farci sospettare che il politicume abbuffino avesse interesse ad allentare i controlli.

Speriamo che la lezione sia servita, anche se ne dubito molto, altrimenti arrivederci alla prossima crisi!

martedì 17 agosto 2010

Il web non è morto, sta solo crescendo

Chris Anderson ha scritto su Wired che il web è morto ma, secondo lui, internet avrá ancora lunga vita.

La seconda è una banalitá: l'infrastruttura c'è e se serve resterà, altrimenti fará la fine dell'idroscalo di Milano, nato per far atterrare gli idrovolanti negli anni 30, è rimasto un bel buco dalle parti di Segrate come un ottimo posto per allevare zanzare.

Quella che il web è morto è invece un stupidaggine che l'autore cerca di avvalorare parlando di app sugli iPad e i cellulari come se questi dispositivi, al di la di come facciano tecnicamente a prendere informazioni da un server remoto, non fossero anche loro delle banali interfacce uomo-macchina, diverse da un PC, ma pur sempre dispositivi per permettere a un umano di immettere e prendere informazioni da un sistema informatico.

Quello che invece è un fenomeno lento, continuo e del tutto silente, - tanto che nemmeno Anderson lo cita - è la possibilitá che la rete e i suoi protocolli standard offrono già adesso per connettere tra loro sistemi diversi di organizzazioni diverse che si scambiano informazioni "senza bisogno di umani" e quindi, senza la necessità che ci siano pagine web, o di altro tipo, che permettano a un umano di interfacciarsi con una macchina.

E sará il dialogo da macchina a macchina a rendere sempre meno importante il web e, se vanno avanti le idee di avere reti diverse dalla internet per contenuti di qualità, anche la internet perderà di importanza, un po' come accade nei trasporti dove, accanto al treno per tutti, c'è gente che va in aereo e anche chi ne ha uno privato.

martedì 10 agosto 2010

L'autodistruzione della classe media

La classe media americana sta soccombendo alla crisi proprio nel paese dove questa era il modello più ambito da raggiungere, un traguardo diffuso dal cinema dell'anteguerra e poi trangugiato a palate tramite la TV.

Poi la crisi del 2007 comincia a demolire il sogno con un brutto risveglio che prende la forma degli scatoloni dei licenziati della Lehman Brothers, il top della classe media, il simulacro di questa, il bancario con le sue 14 mensilità più bonus a valere sui risultati di bilancio.

E da allora l'eliminazione di posti di lavoro non è terminata e continua anche oggi, con una ripresa timida, che ha una sua caratteristica mai vista: non si creano nuovi posti di lavoro, negli USA sopratutto mancano impieghi pubblici, gli stati e le cittá licenziano e riducono organici perché non hanno soldi.

Anche in Europa si tagliano posti pubblici, ma tutto questo è solo necessità di risparmiare o c'è qualcosa di strutturale che incide sopratutto sulla claSse media?

La verità è che la crisi è anche un'occasione per eliminare sovrastrutture che ci si poteva permettere finché il bilancio era in attivo, poi la crisi crea nuove prioritá: l'azionista vuole la sua rendita ed è disposto a pagare solo quei dipendenti che la rendita gliela assicurano e se i dipendento costano, si eliminano o si affida il lavoro all'esterno vicino o lontano che sia.

E fra i lavori da tagliare c'è quello di tutte le persone che sono dei semplici intermediari, trasformatori di dati e analizzatori degli stessi.

D'altra parte la fine della classe media era nella parola inter-media-rio, cioè il suo classico ruolo che è quello che le tecnologie dell'informazione eliminano.

sabato 31 luglio 2010

Potere è potare

Gli stati sono un po' tutti nei guai, per la spirale spesa pubblica eccessiva che determina tasse elevate e necessità di fare debiti, e perché obiettivamente la crisi dipende dal fatto che l'America è in guerra e ci resterà per lustri, e le serie storiche dicono che l'economia americana cresce quando non è in guerra.

Allora gli stati devono tagliare, ma purtroppo tagliano con l'accetta e dove non rischiano l'aggressione di chi di spesa pubblica vive e sopravvive.

Invece la vera arte del comando (se uno ha gli attributi del comandante) non è tagliare ma potare tutti i rami improduttivi e lasciare crescere quelli che possono dare frutti.

Insomma il vero potere è potare.

domenica 4 luglio 2010

Il sud non spende

Con grande sconcerto del premier, il ministro del Tesoro accusa le regioni di non spendere 44 miliardi di fondi EU.

E meno male che non l'hanno fatto!

Il ministro dimentica un piccolo particolare da 96 miliardi, la parte che il Ministero del Tesoro dovrebbe aggiungere ai 44 miliardi di Bruxelles.

Perché i fondi per le aree svantaggiate comprendono sempre un co-finanziamento della nazione che li riceve!

E il Tesoro questi soldi li ha?

Ho qualche dubbio!

domenica 27 giugno 2010

Il tesoro in fondo alla palude

Dibattito al POLIMI, si parla di crisi finanziaria, faccio un intervento di rottura, un prof allarga i miei concetti e spiega il mio discorso: il paese è ricco ma tutta la ricchezza è praticamente bloccata in immobili, depositi e titoli di stato, roba che rende poco, ma che fornisce all’italiano, ex contadinaccio inurbato e appena sceso dall’albero degli zoccoli, la sicurezza, o una presunta tale.

Purtroppo questa ricchezza, veramente enorme, frutto di risparmio ma anche di evasione ed elusione, non serve a far progredire il paese, è come il ciocco in un camino, si consuma, da calore a chi sta vicino, ma quelli in fondo alla stanza, o addirittura fuori al freddo, vedono solo la luce del fuoco ma non ne ricevono nessun beneficio.

Siamo in una condizione assurda e bloccata: abbiamo un sacco di soldi, siamo un paese con super debiti da parare con super tasse, e non c’è un’euro per l’innovazione.

Ed è solo l’innovazione che crea il lavoro.

La Apple ha investito 1 miliardo i dollari per creare l’iPad.

Quale azienda italiana può investire tanto con il rischio di non recuperare l’investimento, come spesso succede? Nessuna, visto come pure loro sono super indebitate.

E i giovani fanno confronti con altre civiltà e capiscono che la nostra palude, sempre più limacciosa e spesso anche fetida di scandali, senza denari, è as-so-lu-ta-men-te impossibile da bonificare per far emergere un tesoro che, se investito, farebbe stare bene tutti

sabato 26 giugno 2010

Il futuro dell'informatica

Il mondo dell'IT è contraddistinto da una particolarità stranissima per un settore avanzato: non è capace di cogliere i segnali che arrivano dal futuro e, anzi, è un mondo che nega il futuro anche se questo è un presente già molto evidente.

È un mondo dove, per parare alcuni problemi, si scelgono strade falsamente innovative che, invece di portare efficienza, apportano nuova complessità, quindi nuovi costi e una confusione da cui non si riesce a uscire anche per un'altra specificitá del settore IT: il manicheismo che porta a vere guerre di religione dove i crociati di una tecnologia buttano milioni per abbattere gli idoli informatici dei talebani perdenti.

Negli anni 70 c'è stata la guerra dei data base, gerarchici, reticolari, relazionali, che hanno vinto e, ovviamente nelle testoline della gente IT sono un altro santuario da non offendere, e perciò, se qualche mente brillante afferma che il data base forse non serve più, visto che abbiamo dischi velocissimi, assolutamente incomparabili con quelli degli anni 70, i bonzi dell'SQL gridano al sacrilegio o al più ti guardano come un mentecatto.

Evitiamo poi di parlare delle stupidaggini nel campo dei linguaggi di programmazione, ognuno dei quali doveva essere migliore del precedente, con il risultato evidente di una massa di applicazioni dove c'è ancora di tutto, sia vecchio che nuovo: Cobol, PL1, APAB, Java, C, C++, ADA, Visual Basic, Basic.

Poi ci sono le nuove edizioni di cose vecchie e una di queste è la virtualizzazione il cui scopo sarebbe di far diminuire le centinaia di server che col tempo si accumulano in un'azienda.
E dalla virtualizzazione si passa al concetto di cloud, cioè l'idea che le applicazioni stanno da qualche parte nella Internet e si paga a consumo, una cosa che non è altro che il vecchio outsourcing.

Però qualcuno dice che è il futuro, cosa che non tiene conto di alcuni elementi grandi come montagne.

Le aziende, sopratutto le PMI che sono la massa, non metteranno mai i loro dati in giro nella rete;

Per affidare alla cloud i propri dati occorre un contratto che veramente protegga il cliente in caso di guasti e interruzioni del servizio;

Ma il vero nemico della cloud è il fatto che i prezzi delle macchine devono ancora scendere e di molto per cui è pensabile che prima o poi qualcuno fornirà alle aziende delle scatole che svolgono una specifica funzione, scatole che non hanno bisogno di sistemisti e che si installano come i pezzi dell'HI-FI: un solo connettore e la scatola che fa la contabilità entra in funzione subito, si aggiorna da sola scaricando dalla rete quello che serve e sopratutto è pensata per dialogare "in automatico" con altri sistemi locali e oltre le mura dell'azienda.

E per parlare con queste macchine, iPad e cellulari.

martedì 8 giugno 2010

il decalogo che rovina l'Italia

Questo è l'elenco delle leggi che gli italici osservano, con maniacalità e fervore oserei dire sacrale, dalla Vetta d'Italia fino alla Punta Pesce Spada di Pantelleria:

- è ancora un ragazzo! *
- tiene famiglia!
- è un amico **
- ma chi te lo fa fare?
- fatti gli affari tuoi
- per questa volta...
- è la prassa! ***
- ma che importanza ha?
- chi vuoi che se ne accorga!
- solo un attimo!

avvertenze:
* ragazzo è uno che può avere anche più di 35 anni!
** vale anche: è un parente, è un collega, è una persona importante, ci può dare una mano
*** sarebbe prassi, ma così si espresse l'addetto alla visita di leva

sabato 29 maggio 2010

Bavagli e bavaglini

Un sacco di gente, ovviamente se-dicente democratica e liberale, si sta sbattendo per non far passare l'ennesima porcata liberticida, azione veramente meritoria, ma molto ipocrita, considerato che nella Costituzione, all'articolo 21, si dice "che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure" e poi, con una classica contradizione all'italiana che "si può procedere a sequestro..." , con l'effetto statistico che su 181 parole di cui è composto l'articolo, ben 151 sono di divieti e costrizioni.

E di tutto questo le anime belle, ovviamente democratiche e liberali, non se ne sono mai accorte!

E magari considerano la sentenza della Corte Suprema USA, quella che tutela lo scritto anonimo (se rivolto contro un potere pubblico o privato), un'americanata e non, com'è e deve essere, la base fondante della democrazia, quella che trova nelle 45 parole del First Amendment al Bill of Rights tutto quello è alla base della libertà della persona!

"Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances"

mercoledì 26 maggio 2010

La manovra del ramarro

La mia gatta Pezza è un natural born killer, e bisogna vederla quando prepara l'agguato a qualche solingo augelletto che si avventura sul mio balcone.

Ma è in campagna, d'estate, che il suo lavoro di selezionatrice darwiniana raggiunge l'apice della gloria per una gatta da caccia.

Passa giornate fuori, fra l'erba alta, uccidendo tutto quello che si muove, e non disdegna niente: dalle farfalle alle gazze ogni vivente è un aspirante cadavere e, qualche volta, se la preda le sembra particolarmente adatta, la porta in casa come omaggio alla sua padrona, a mia moglie.

E, in un pomeriggio bollente, si è vista arrivare Pezza trionfante con un bellissimo ramarro verde smeraldo fra le fauci, magari per ammazzarlo davanti agli occhi di moglie e figlie che, invece di gradire l'omaggio della nostra cacciatrice, hanno cominciato a urlare con l'effetto di rendere perplessa la povera gatta e consentire al ramarro, condannato a morte, di attuare la classica manovra diversiva dei piccoli sauri: far cadere la propria coda che, ancora vibrante degli spasimi agonici, serve a distrarre il gatto quel tanto che apra le fauci e potersela filare come un centometrista all'Olimpiade.

Questo è la stessa cosa che si sta tentando con la manovra per scampare alla sindrome PIGS: tagliare qualche cosa di inutile e ingannare i mercati, sapendo bene che la spesa tagliata ricrescerá e si riformerà come la coda del ramarro.

domenica 2 maggio 2010

Per far dispetto alla moglie

Prima o poi i tanti vulcani che festonano l'Italia meridionale faranno danni, e d'altra parte è nella loro natura emettere lava, cenere e lapilli e poco si può fare oltre che squagliarsi al sicuro il più presto possibile.

Ovviamente fra imbecilli che si attardano a guardare l'eruzione e poveri cristi che crepano per puro caso, il vulcano farà un po' di morti.
Decine? Centinaia? Migliaia?

Certamente non centinaia di migliaia o milioni come si augurano quelli che scrivono "Forza Etna" e "Forza Vesuvio"!

Perchè è chiaro che più sará tempestivo l'allarme più gente si salverà, e più sarà grande il disastro e più gente dovrà emigrare.

Dove? Bella domanda con risposta obbligata.

Una volta suonato il si-salvi-chi-può la gente dovrà andare, per giorni, mesi, o anche per anni, dove riprendere una vita normale.

Ora escluso che centinaia di migliaia siano accolti oltremare quali novelli profughi in fuga dagli orrori della guerra, è geograficamente sicuro che andranno verso nord, verso Roma, la Toscana, l'Emilia e l'Alta Italia.
E certamente non saranno i modesti Appennini, comodamente percorribili da numerose autostrade, o i modesti fiumiciattoli italici, scavalcati da ponti di tutti i generi, a fermare le masse in fuga.

Perciò questo augurio per un risveglio dello sterminator Vesevo è simile a quello di quel tale che, per far dispetto alla moglie, si separò dagli attributi!

venerdì 30 aprile 2010

Ricchezza effimera

Quando i padroni del vaporetto italico vogliono rassicurarci fanno i giocolieri con i numeri, e speriamo che gli equilibrismi statistici siano solo mediatici e non colossali operazioni di window dressing come quelle fatte dai greci che, per inciso, hanno dimostrato di essere sempre quelli del cavallo lasciato sulle spiaggie iliache per quei quattro fessacchiotti dei troiani.

Cosa ci racconta il grande timoniere di turno (SB o RP è l'istess!) e ii vari nocchieri e metereologhi delle finanze italiche?

Pare che tutto vada bene (ma sempre relativamente al resto dei PIGS!) perchè, a fronte di un immane debito pubblico, risulta che la popolazione è poco indebitata e che le formiche italiche sono ricche con perchè tanti dindini da parte cui bisogna aggiungere il loro patrimonio immobiliare.

Dati abbastanza discutibili che possono dimostrare proprio il contrario di quanto vogliono propinarci.

Gli italici non s'indebitano, è vero ma questo può dipendere anche da fattori negativi che si auto-alimentano: il numero di occupati (rispetto agli occupabili) è molto basso e i redditi familiari e d'impresa sono scarsi e, a fronte di una bassa redditività le banche, "non" possono largheggiare con i prestiti.

Gli italici hanno grandi risparmi e, fra questi, possiedono, direttamente o indirettamente, tramite le banche e i fondi, metà del debito pubblico italiano (850 miliardi di euro) che non è un cespite facilmente liquidabile se ad averne bisogno fossero in tanti.
E se lo stato si trovasse nelle stesse condizioni della Grecia sarebbe problematico privilegiare gli italiani invece delle banche estere.

Poi ci sono gli immobili, che valgono tanto, ma sono pur senpre immobili e non facilmente liquidabili, oltre il fatto non secondario che il loro valore vale solo per altri italici che vogliano pagare le cifre chieste per quell'immobile, in altri termini le case non hanno un valore assoluto ma quello di mercato...se c'è un mercato!

Quindi di cosa sono ricchi gli italici?
Di chiacchiere, come al solito.

giovedì 29 aprile 2010

Matrimoni d'interesse

I matrimoni d'interesse di solito funzionano bene: trattasi di una forma ipocrita di prostituzione e perciò funzionano, sopratutto se le parti sono addivenute liberamente all'accordo, senza se, ma e intenzioni recondite di violare regole non scritte, ma pur sempre regole da osservare per mantenere l'unione.

La UE e il suo sottoprodotto, l'euro, sono un matrimonio d'interesse fra paesi ricchi e mercati appetitosi ma debolucci per il brutto vizio della politica di mantenere quello che si è promesso in campagna elettorale, promesse che costano e che richiedono soldi che non ci sono se non facendo ricorso al debito.

Certo, al momento del matrimonio, i paesi con le mani bucate hanno promesso di ravvedersi e di perseguire comportamenti virtuosi degni della ricca famiglia che li accoglieva, ma mantenere un precetto di virtù quando da lustri si è abituati a spendere più del possibile, è abbastanza impossibile per certe classi politiche, e oggi abbiamo il redde rationem della Grecia e del Portogallo che, con effetto domino, trascinerà nei bassifondi anche Spagna e Irlanda con la possibilità che si estenda all'Italia con il terzo debito pubblico del mondo.

Perciò qualcuno si domanda oggi se questo matrimonio s'aveva da fare e se non sia il caso di procedere ad una convivenza da separati in casa dove i bravi si tengono l'euro e gli altri tornano alle loro lirette, dracme e pesos.

Forse non si arriverá a tanto, ma certamente gli stati spendaccioni dovranno essere messi sotto tutela come si fa con le aziende in crisi prefallimentare.

Ma chi possiede un'immagine super partes per fare da tutore senza che si pensi a suoi interessi privati.
Certo nessuno degli stati europei e neppure le istituzioni comunitarie che sono sempre espressioni dei paesi membri.

Forse l'unica è chiedere all'FMI di fare il curatore, ovviamente con l'idea non dicibile che dietro all'FMI ci siano gli USA che dovranno di nuovo venire a mettere in riga i discoli europei, questa volta senza mandare G.I. e Marines.

mercoledì 28 aprile 2010

Creditori mobili

Per anni i politici, causa principale del gigantesco debito pubblico italico, ci hanno terrorizzato dicendoci che metà del debito è in mano agli stranieri e dietro di loro famosi economisti e giornalisti ad orecchio che ripetendo la stessa cosa dimenticavano che, se metà è in mano agli stranieri, l'altra metà deve essere in mano agli italiani, vale a dire che, dei 1700 miliardi di euro di BOT, ben 850 miliardi sono posseduti dagli stessi italiani.

Oggi, che la Grecia è crollata sotto un debito i cui creditori sono banche straniere, quel tesoro di Ministro di Tremonti si dice non preoccupato perchè il nostro debito pubblico è in gran parte posseduto dagli italiani.
No comment!

giovedì 25 marzo 2010

Crowdsourcing mito e realtà

Nell'ansia di pensare qualcosa di nuovo (per vendere) e mistificando o estendendo, fuori tema, certe tecnologie e certi fenomeni, si corre il rischio di creare l'illusione di aver individuato dei trend dai quali si cercano poi, inutilmente, ritorni economici e culturali.

Una di queste ansie è quello che si chiama crowdsourcing o co-creazione, la metodica che apre il processo di creazione di prodotti e servizi alle masse degli stake-holders dell'azienda.

Un'idea che ha delle serie basi scientifiche (vedi gli studi di Eric von Hippel del MIT) ma, more solito, è stata in parte mistificata e in parte estesa troppo, ben oltre le sue possibilità effettive quando si ritiene che "lá fuori" ci siano migliaia di persone capaci e in grado di fornire un'idea vincente, un'innovazione che nasce dalla strada, un po' come quegli attori presi per strada dai registi neorealisti per dare un tocco di vera miseria alle storie del nostro miserabile dopoguerra.

La prima cosa da dire è che la co-creazione può essere utile in settori maturi ma ha minori probabilità di successo se si cerca l'idea completamente nuova, insomma, il popolo può suggerire modifiche e/o utilizzi diversi di quello che c'è, ma è difficile che s'immagini un qualcosa che non c'è.

Se Ford avesse chiesto alla gente cosa volesse, i consumatori avrebbero chiesto migliorie a calessi e carrozze ma nessuno avrebbe immaginato un veicolo senza cavalli.

L'altro elemento importante è la necessaria partecipazione emozionale del pubblico e questo implica che il co-creatore sia un brand-lover, cioè uno che adora il marchio e ne desidera sempre più successi, in un certo senso, è l'amore che lo spinge a suggerire modifiche e usi diversi dei prodotti/servizi o allargamenti del marchio in altri settori.

E la partecipazione emozionale la si ottiene con un lungo lavoro di brand awareness il che significa che è nell'azienda che sono stati pensati i prodotti che si vendono; dopo si potrà pure chiedere di migliorarli, ma resta la necessità di creativi e inventori interni, di un marketing non in poltrona ma in giro per il globo a capire che cosa vuole il pubblico.

mercoledì 24 marzo 2010

Sapere è necessario

Ci sono giornalisti che commentano preoccupati il percolare di notizie sui vizi dei politici e dei pubblici funzionari, lo ritengono una non necessaria intrusione nella vita privata della gente.
Sono osservazioni che però lasciano fuori un fatto fondamentale per la serena e sana esistenza di una comunità: chi informa i contribuenti dei vizi dei potenti, ovviamente, se e quando questi vizi siano "evidente" sintomo di corruzione, anche se non vi sia un procedimento giudiziario in corso?

Io ritengo missione sacra e specifica della stampa sbattere in prima pagina il vizio (pagato con i nostri soldi), tant'è vero che negli USA l'emendamento che tutela la libertà di parola è quello che più di tutte le altre leggi permette di evitare le degenerazioni eccessive del potere politico e amministrativo.

La EFF (www.eff.org), ad esempio, organizzazione libertaria americana, cane da guardia contro chi vuole mettere sotto controllo le telecomunicazioni, ha ottenuto dalla Corte Suprema sentenze che difendono addirittura l'anonimato del blogger quando questo attacchi il potere pubblico, sentenza ottenuta come estensione di altre che già difendevano l'anonimato di chi stampa un libello di denuncia.

D'altra parte è sotto i nostri occhi l'attacco virulento ad Obama accusato di non essere nato negli USA, aggressione che però nessuno si sogna di censurare o di omettere dalle cronache a stampa o via etere.

Questo assetto americano garantisce alla gente di avere una visibilità su quello che fanno i potenti e, siccome è un'esigenza non eludibile (perchè chi custodisce i custodi non può che essere il cittadino contribuente), è chiaro che da noi si sopperisce, alla mancanza di denuncia e alle omissioni da parte della stampa, con il percolare di quello che si ascolta durante le indagini da parte delle strutture di law enforcement.

E questo perchè una società non può vivere senza la verità (anche approssimata), sarebbe come avere un laboratorio scientifico dove una parte delle scoperte viene negata ai colleghi scienziati bloccando il progresso di tutti.

mercoledì 17 marzo 2010

I problemi di Matusalemme

Milioni di dollari dopo la conquista della luna gli umani si sono dovuti rassegnare a restare sul pianeta e dintorni, e allora, finite le ansie di gloria intergalattica, ci si concentra sull'effimera vita su questa terra cercando di rimandare il momento di lasciare onori e denari a quelli nati dopo.
L'obiettivo è (per il momento) arrivare a 120 anni, ma qualcuno già chiede i 150 e poi, ovviamente l'immortalità.
Al di là della difficoltà per chi oggi è già sui 70 di arrivare a questi traguardi, e presumendo che ci si arrivi, quale sarebbe la vita di questi ultracentenari? E non parliamo di quella fisica perchè è ovvio che chi aspiri ad arrivare a 120 anni voglia farlo in buona salute.
I problemi che si tende a non considerare sono altri e non facilmente risolvibili.
Il primo è di tipo nevrotico: come vivrebbe la sua quotidianetá una persona che sa che non si ammalerá ma che può comunque morire o restare menomato per un incidente?
Un'ipotesi non peregrina visto che gli incidenti automobilistici e quelli in casa sono molto frequenti?
Finirebbe col fare la vita di una bella fragile statuina di Capodimonte tenuta dietro una cristalliera.
Poi c'è il problema degli altri, quelli che dovrebbero morire e che certamente non vedrebbero di buon occhio gente che magari ha già tutto e che per giunta non muore nemmeno.
E questo diventerebbe un altro motivo per i fortunati lungo-viventi per tenersi lontano dal vasto pubblico un po' arrabbiato.

lunedì 8 marzo 2010

Un Oscar al femminile

L'Oscar a The hurt locker non è solo un premio a un film perfetto, non è solo un evento perché per la prima volta viene premiata una regista (e la Bigelow se lo merita tutto!), ma, anche se nel film non c'è una donna, l'Oscar è un premio a quelle virtù femminili di cui ha bisogno il mondo dopo il crack del 2008!
Anche se è un film di guerra, gli eventi della vita di un artificiere in Iraq sono solo una metafora di quello che ci serve per il nuovo mondo, virtù che donne hanno maturato nel lungo processo di umanizzazione e che non sono mai state valorizzate in una storia dell'umanità fatta di predazione più che di collaborazione e che ha visto nell'avidità finanziara pre 2008 il massimo dell'idea che si "deve" sfruttare, imbrogliare, prevaricare altri esseri umani.
Le virtù femminili che ci servono sono quelle dell'artificiere che è in Iraq per aiutare, collaborare con altri pur se molto lontani da se ma cosí importanti da fargli, non solo rischiare la vita, ma anche sentire il dovere morale di lasciare affetti e comoditá meritate per tornare a far esplodere la sua empatia, forse anche per il suo nemico.

domenica 28 febbraio 2010

Egoismo animale

Fin dall'infanzia il bambino mostra una specificitá nel desiderio di collaborare con gli altri umani e, prova di questo, è lo sviluppo del linguaggio il cui scopo primario è una profonda necessità di diventare parte attiva dei gruppi sociali di cui si entra a far parte.
Gli esseri umani, non essendo dotati di potenti mezzi fisici propri (artigli, zanne) dovevano necessariamente collaborare durante la caccia ad animali più forti e più veloci e questo implicava anche una successiva ordinata suddivisione delle spoglie fra i partecipanti alla caccia, le loro famiglie, gli anziani e i bambini.
Un comportamento che non è previsto fra gli animali che cacciano in branco, anche quelli che applicano strategie che sembrano molto elaborate, ma che mostrano una totale mancanza d'intenzionalità nel dopo la caccia quando il primo che cattura la preda tende ad escludere anche gli altri cacciatori.
La collaborazione per condividere i frutti delle attivita è quindi la qualità che distingue gli umani dai loro cugini scimpanzè, gorilla e bonobo e ne viene per conseguenza che gli individui che trattengono per se molto oltre il necessario e/o che non danno ad altri umani la possibilità di vivere (secondo gli standard contingenti) sono in pratica dei pre-umani molto simili alle bestie.

domenica 21 febbraio 2010

Dirigenti con la gonna

Lo scenario economico, quello già in atto nei paesi che hanno cavalcato la rivoluzione digitale (purtroppo non l’Italia del latinorum e del velinorum!), prevede che, alle aziende organizzate come le quadrate legioni romane, rivolte sopratutto a combattere gli altri, si sostituisca un modello fatto di collaborazione più o meno lasca fra le aziende, grazie alle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni.

E chi dovrà dirigere in questo nuovo scenario è chi sarà capace di cercare accordi, collaborazioni, partecipazione, senza prevaricare nè maramaldeggiare, tutte virtù molto femminili e in totale antitesi con quelle maschili rivolte al “combattimento” e alla distruzione dell’avversario economico, il concorrente da eliminare dal mercato.

Sorge perciò un problema per gli attuali dirigenti maschi, tutto testosterone variamente esibito, ma anche per le attuali donne dirigenti, scelte dai cacciatori di teste fino ad oggi sopratutto perchè in possesso di caratteristiche maschili (maschiacci) o perché tentano, penosamente e combattendo se stesse, d'imitare l’aggressività maschile; in parole povere, gli attuali dirigenti, compreso le dirigenti, corrono il serio rischio di essere fatti fuori per non avere quelle caratteristiche necessarie in un mondo del tutto diverso da quello dove, anche con successo, hanno operato fino a oggi.

C'è però una grande possibilità per donne con la gonna, quelle di cui cantava Vecchioni qualche tempo fa, donne che abbiano mantenuto quella stessa capacità di collaborare delle nostre progenitrici raccoglitrici che prendevano dalla natura i frutti senza devastarla.

sabato 20 febbraio 2010

Corruzione naturale

In un paese povero la corruzione è naturale e non eliminabile.

Sono decenni che l’economia è ferma, i denari sono bloccati in immobili e BOT, nessuno investe in nuove iniziative, abbiamo mancata la rivoluzione digitale e non siamo inseriti nel processo di globalizzazione (come ha spiegato Salvatore Rossi di Bankitalia al Corriere il 18/2/2010 presentando il suo libro Controtempo), la torta non cresce più, le fette sono assegnate, la mobilità interclasse è impossibile con mezzi normali.

Si va perciò in politica per fare soldi e si diventa sodali dei politici per fare soldi.

La P.A. centrale e periferica è pletorica e perciò paga stipendi bassi a troppa gente che, per permettersi cose adeguate allo status conquistato, si fa corrompere o crea occasioni per spesa improduttiva, a meno che la sorte non mandi un bel disastro su cui allattare.

giovedì 18 febbraio 2010

È la pubblicità, bellezza!

Al Meet The Media Guru Marco Pratellesi, direttore di Corriere.it, faceva notare che la crisi (di vendite) della stampa è precedente allo sviluppo di Internet, e questo l'ho ricollegato a certe considerazioni sulla perdita del senso della pubblicità, ormai più forma d'arte, (quindi tutta tesa a dare lustro, premi e notorietà ai pubblicitari per un pubblico di pubblicitari) che mezzo per informare i consumatori.

Se è ancora vero (come io credo) che la gente compri il giornale per guardare la pubblicitá, allora è chiaro il rifiuto del supporto che la deve veicolare, perció abbiamo una crisi della pubblicità perchè ha perso il contatto con il popolo proprio come il teatro, diventato troppo cerebrale e sopratutto teatro per i teatranti, causa la diffusione del cinema, come ha ricordato sempre Pratellesi, quale mezzo per raccontare storie.

mercoledì 17 febbraio 2010

Ma non è una crisi seria

La Grecia è nei guai, la Spagna pure, il Portogallo sta-per, l'Irlanda affonda lentamente, ma affonda, e l'Italia, more solito, non si capisce se è viva, morta, moribonda o se siamo al solito piangere tanto e fottere alla grande.

Ma qual'è il guaio grande-grande nel quale si dibattono i PIIGS? Un guaio ben noto agl'italici, visto che dall'era craxiana è arrivato ad equivalere il PIL, vale a dire che la Repubblica Italiana ha un debito pubblico enorme, il terzo de mondo, ma con una caratteristica sulla quale fare una riflessione: metà dei creditori sono stranieri ma l'altra metà è fatta da italici, cosa che spesso è ignorata dai media.

Ma cosa significa che uno stato ha debiti con i suoi stessi cittadini? Semplicemente che lo stato non è stato capace di farsi pagare le tasse e ha dovuto fare un debito con quegli stessi cittadini che le tasse non le hanno pagate. Ergo, i cittadini evasori, cioè dei delinquenti, non solo hanno preteso servizi che non hanno pagato, ma addirittura costringono il loro stesso stato a fare debiti minacciandolo con l'arma del voto.

A questo punto emerge chiara la soluzione per almeno metà del debito pubblico: basta stampare carta moneta e comprare dai cittadini i loro titoli di stato.

Ma qualcuno potrebbe dire che mettere sul mercato una massa enorme di denaro potrebbe creare inflazione, un ragionamento sicuramente sbagliato perché i possessori di questi titoli li considerano risparmio, cioè denaro per future necessità, e quindi non si vede perchè, avendo denaro contante in mano, dovrebbero correre a spenderlo.

Quello che può accadere invece e che la gente cercherà di investirli, cosa che può essere un'occasione per le imprese per attrarre capitale per crescere.

martedì 16 febbraio 2010

Nella cloud

Con l'iPad si mette fine alla storia del Personal Computer; ovviamente il PC non morirà subito e non sparirà del tutto, ma è certo che lo scenario prossimo venturo è quello dove la gente accede a dati e applicazioni che stanno da qualche parte nell'universo conosciuto e di cui non ci si deve preoccupare perchè qualcun altro gestirà macchine che non sappiamo dove stanno, che non c'interessa come funzionano e che funzionano sempre.

Una volta questo si chiamava outsourcing, oggi si chiama cloud computing, o cloud e basta.

Il futuro è quindi tutto in una nuvola anche se molti, come certe dattilografe abbarbicate alla macchina da scrivere, cercano di negare che questo stia accadendo e che stia accadendo adesso.

La scusa più frequente è che andare sulla nuvola non è sicuro, ma si tratta evidentemente di una
cosa che non regge perchè è chiaro che chi offre servizi sulla nuvola dovrà garantire l'affidabilità del suo servizio pena la sua uscita dal mercato.

E allora dov'è il problema?

Si tratta della solita paura del nuovo che è naturale condizione per la maggior parte dell'umanità che ha bisogno di un certo tempo per assimilare certi automatismi.

Anche andare a cavallo, usare la posta per scrivere a casa, salire su un'auto è stato un processo lento e che ha richiesto che la gente maturasse fiducia nel nuovo mezzon e lo stesso è avvenuto con la banca: la gente ha dovuto maturare l'idea di non tenere i propri denari in casa e di depositarli presso un altro, ma se pensiamo che oggi i denari non sono altro che registrazioni magnetiche su un disco di un sistema di elaborazione dati, non si vede perchè non dovremmo fare la stessa scelta con i nostri dati e le applicazioni, se chi li gestisce ci darà la stessa affidabilità che una banca ci fornisce per i nostri soldi.

Ovviamente sarà necessario che ci sia un quadro normativo che faccia da substrato legale perchè ci si possa fidare completamente e quindi dovrebbero essere i fornitori di servizi nella cloud che dovrebbero farsi parte attiva per creare delle regole severe, dello stesso genere di quelle che esistono per le banche, in modo da far crescere la fiducia ma anche per escludere dal mercato i peracottari della cloud.

mercoledì 3 febbraio 2010

Oscar in tono minore

Peppuccio Tornatore con il suo pretenzioso (e noioso) Baaria non è stato nemmeno ammesso alla gara, mentre si resta in gara per la fotografia e il trucco di Sorrentino come sulfureo Giulio Andreotti, una metafora su quello cui gli italici possono aspirare come posto nel mondo: grande artigianato ma fuori dai grandi discorsi culturali fra cui la capacità di una società di parlare di se, spudoratamente e senza quelle remore di pestare i piedi a qualcuno.

Proprio quello che mancava a Baaria, ma anche ad altri film italici manifestamente lavori che servono più a nascondere che a rivelare con la dovuta brutalità su cos'è oggi la società italica dove sembra applicabile l'immortale frase di Nino Manfredi che er meglio c'ha la rogna.

Rivelare ed esporre la verità è il compito dell'artista, cosa che riesce ad emergere anche da un film di fanta-scienza (o fanta-sociologia?) come Avatar dove vengono fuori, con prepotenza e pregnanza, temi come l'ecologia, lo scontro culturale, i problemi dell'America forse stanca (e indebita) per continuare a portare il Verbo della democrazia in posti come il Medio Oriente, la Cina e il Sud America dove la libertà è un grosso fastidio da barattarsi ASAP con la comoditá di affidarsi pienamente a un demiurgo, a uomini della provvidenza, a un faso-tuto-mi che pretenderà , in cambio, enormi privilegi, più o meno simili a quelli dei capi delle bande criminali.

D'altra parte l'America ha ormai un'esperienza quasi secolare dell'inutilità del portare la democrazia nel mondo visto che in nessun paese ripulito da dittatori e capataz c'è riuscita, e quelli che sembrano casi di successo (Germania e Giappone) lo sono perchè sono paesi sconfitti, ancora occupati militarmente, e che scontano, con l'adeguamento forzoso alle direttive dell'occupante, le gigantesce sanguinarie colpe del passato.

Per quanto riguarda l'illusione di avere un paese democratico nella penisola non credo sia mai stato nelle previsioni americane che mettevano in conto l'obbligata e necessaria acquiecenza alla politica vaticana (che è sempre meglio avere affianco se si deve combattere un nemico ateo o che crede in un atro dio) e al fatto che, data la posizione stratetica della Sicilia, era meglio non avere a servizio permanente effettivo un governo libero e demo-cratico, ma, al più, uno docile e demo-cristiano che faceva con obbedienza, zelo e nefandezze l'interesse di due padroni.

Perciò dobbiamo accontentarci di gareggiare, anche per gli Oscar, nelle gare minori perchè il cinema italico non è più in grado di stanare la societa e riesce solo a confezionare storie che si fermano opportunisticamente in certi anni in modo da evitare di parlare della brutale schifosissima attualità.

lunedì 1 febbraio 2010

iPad l'onorevole resa di Steve Jobs

Negli anni 70, nella California libertaria, culla di tutte le controculture e di tutti i tipi di esperimenti sociali, un gruppo di informatici eversivo decise di liberarsi dalla schiavitù del time-sharing, del dover utilizzare, quando permesso, un computer centrale di un'università, con il rischio, non secondario, che tutto finisse sotto l'occhio dell'FBI, della CIA o della NSA.

Nasce cosi il personal computer, una macchina anarchica non destinata a essere parte di un insieme, così come un'automobile è un uso strettamente personale con cui fare la spesa, portare i bimbi all'asilo e andarci a pomiciare con il partner del momento.

Ma, già all'inizio degli anni 80, il PC perde l'autonomia, nelle aziende viene messo in rete, poi asservito a un server, diventando così solo un terminale intelligente.

Con Internet il ciclo si chiude, il PC è oggi solo il terminale di applicazioni che sono nella rete, le sue caratteristiche di macchina "personale" sono sempre meno utilizzate e i minuscoli netbook, usati solo per navigare e leggere la posta, ne sono la prova, per altro di grande successo.

A questo punto è fatale il passo successivo: una macchina che serva solo come accessorio della rete, e l'iPad è perfetto per questo scopo.

Mobile, leggero, economico, il miglior sostituto di un PC dove non serve un "personal" computer ma solo un dispositivo capace di accedere e utilizzara la rete, perchè la gente vivd e vivrà sempre attaccata alla rete, condividendo la potenza di calcolo che è nella rete, e il sogno libertario di Steve Jobs morirà per mano del suo stesso artefice, certo, una morte onorevole e molto redditizia, ma pur sempre una sconfitta di chi pensava, tramite l'anarchia informatica, di fare fuori Biancaneve-IBM e i suoi mainframe.

lunedì 25 gennaio 2010

Abbraccio mortale

La voglia di Obama di mettere fine alla commistione fra attività (speculative) proprie delle banche e quelle per conto dei loro clienti, forse risolverà i problemi elettorali del Partito Democratico ma sicuramente non mettera fine alla più grande bisca del mondo, il mondo finanziario come oggi si è evoluto e sopratutto consolidato.
Ormai ci sono in giro fantastilioni di dollari, di euro e di altre valute basati su strumenti finanziari che non si appoggiano su niente di concreto, come mongolfiere stanno su finchè c'è aria calda che le fa galleggiare nell'aria, e l'aria fritta sono previsioni di guru della finanza più furbi e lestofanti dell'oracolo di Delfo consociato con una criptica sibilla cumana.

Se questo è lo scenario che cosa può fare la politica come mezzi normali? In pratica niente: il genio malefico non può più essere rimesso nella lampada e l'unica cosa è trovare un'altra lampada con un altro genio capace di esaudire decenti desideri.

Quello che serve è semplicimente trasformare questa montagna di denaro virtuale in denaro vero, cioè gli stati devono semplicemente stampare soldi e restituire ai comuni mortali quello che hanno investito in titoli esotici ed esoterici di cui nessuno capisce più niente.

sabato 16 gennaio 2010

La festa appena incominciata è già finita

Diciamoci la verita: come nazione ci siamo posti obiettivi non realizzabili, che solo pochi hanno realizzato, che molti avevano realizzato, (e che stanno perdendo), e che molti mai realizzeranno, se non prendendo coscienza che siamo un paese che vive al di sopra delle sue possibilità, prova ne sia un debito pubblico in costante e continua crescita, l'evidenza palpabile di spese che non siamo in grado di pagare se non facendo debiti su debiti.

Cominciarono i democristiani, con il famoso libro dei sogni fanfaniano, proseguirono, dando fondo alla cassa e ingigantendo il debito pubblico, i socialisti craxiani, poi la paura di essere sbattuti fuori dalla EU hanno un po' bloccato l'immaginazione al potere di fronte alla brutale realtà dei numeri cui pure l'ottimismo berlusconiano si deve arrendere.

E pochi vogliono credere che la festa, appena cominciata nel 1960, è già finita.

mercoledì 13 gennaio 2010

Immigrazione e sistema delle caste

Nel ponderoso saggio "Homo Hierarchicus" (1966) l'antropologo Louis Dumont esamina il sistema delle caste indiano e spiega le ragioni economico-sociali di questo fenomeno che, per certi versi, si sta incistando anche nel nord del mondo.

La verità che Dumont scopre è che le caste inferiori in India, sopratutto quelle degli intoccabili, sono colà ristrette e costrette perché sono anche quelle che si devono occupare dei lavori più sporchi, quali lo spurgo delle latrine, la cura delle bestie e la concia delle pelli.

Guarda caso le stesse attività che sono svolte dagli immigrati nel nord del mondo, attività generalmente rifiutate, anche se pagate decentemente, dai lavoratori del nord del mondo; se a questo aggiungiamo che diventa sempre più difficile superare le barriere fra le classi, visto cosa occorre spendere per procurarsi i migliori studi e le migliori abitazioni, ed avremo, anche verso l'apice della piramide sociale, la creazione di caste praticamente chiuse, anche se, imperante (formalmente) un regime democratico tutti possono (a chiacchiere) aspirare a superare la barriera di casta.

Abbiamo quindi alle nostre latitudini la riproposizione di un modello dove al vertice ci sono coloro che non debbono lavorare e alla base della piramide coloro che debbono sobbarcarsi il lavoro più sporco, pericoloso e spesso degradante; la cosa curiosa è che anche la malavita adotta lo stesso modello con l'affidamento all'immigrato dei compiti più a rischio (lo spaccio) o quelli più schifosi (la prostituzione).

Il tutto mi sembra un bellissimo risultato dopo che ci sono state diverse sanguinose rivoluzioni liberali e socialiste: siamo passati dal servo della gleba al cittadino liberato dalla presa della Bastiglia, e siamo ritornati ancora più indietro con un sistema di schiavitù volontaria per bisogno.

giovedì 7 gennaio 2010

Integrazione: difficile, possibile o futuribile?

O per una rivolta in una periferia parigina o perchè si scopre che certi quartieri olandesi sono diventate zone monoetniche, ogni tanto salta fuori la discussione sulla possibile integrazione degli immigrati, sopratutto di quelli più evidentemente diversi dal resto della popolazione, un fatto che fa scattare l'accusa di ghettizzazione, molto prossima a quella di razzismo.

Ma così non è: come ha spiegato Mark Buchanan (Atomo sociale), la gente vuole stare fra i propri simili e quindi tende a creare isole etniche all'interno della comunità che la ospita.

Le China Town o le Little Italy sono prove di questa voglia di avere relazioni con chi condivide la stessa cultura, e il tutto è dovuto a un fatto di comodità e di economia: è più facile vivere in un ambiente conosciuto che affrontare i costi dell'integrazion e, saranno poi figli o nipoti che decideranno di integrarsi, se lo troveranno "economicamente" vantaggioso.

Questo è avvenuto in passato in paesi di forte immigrazione e sembra difficile pensare che un certo Roberto De Niro o tale Luisa Veronica Ciccone non siano americani a tutti gli effetti, ma è una scelta che dipende dalle circostanze economiche, e che non è detto si possa verificare di nuovo, sia negli USA, dove gli ispanici si integrano oggi abbastanza poco, sia in Europa, dove l'immigrazione è stata necessaria per coprire certi lavori non più accettati dagli europei, ma che non è una condizione che durerà per sempre, come dimostra il fatto che, a seguito della crisi, si sono ridotti gli sbarchi e che certi lavori siano oggi appetiti anche dalla massa di disoccupati che cresce di giorno in giorno.

In definitiva bisogna non drammatizzare il problema, evitare inutili guerre, anche di religione, come quella sui minareti, perchè può darsi che sia, in termini storici, un fenomeno passeggero, oppure epocale, e allora si può fare molto poco, anche per la non secondaria ragione che l'immigrato va dove lo porta il lavoro, infatti, o che venga dall'Africa, dalla Colombia, dalla Romania o dal sud Italia, gli immigrati vanno tutti al nord dove, per il momento, c'è ancora lavoro non "ancora" appetibile per i residenti storici che, a loro volta, erano emigrati dalle desolate lande germaniche dove c'era poco da mangiare.

mercoledì 6 gennaio 2010

Riforma fiscale: un'utopia

Dicono che ^^^ stia studiando una riforma fiscale con l'obiettivo di spostare il prelievo dal reddito, sempre difficile da accertare, alle cose che, in generale, non si possono nascondere; altro obiettivo è diminuire il carico su chi lavora/produce (dipendenti e imprese) e aumentarlo ai redditieri che, in pratica, sono gli investitori e i padroni di immobili.
Ovviamente, siccome non è che queste due categorie sono perfettamente separabili, gli effetti di una riforma fiscale avrebbero effetti che ^^^ non si aspetta, o che forse si aspetta, ed è probabilmente questa la ragione per un parto molto travagliato e che forse abortirà del tutto.
Infatti, all'indomani di una riforma che porti il prelievo sulle rendite al 20%, la gente ovviamente cercherebbe di scaricare il nuovo onere sugli altri, per cui aumento dei prezzi da parte di redditieri/commercianti/professionisti e un aumento dei fitti da parte degli immobiliaristi, il tutto alla fine scaricato su lavoratori e imprese che si vedrebbero annullato il tanto agognato sgravio fiscale.
Certamente qualcuno potrebbe ipotizzare che così non sarà perchè, ad esempio, i redditieri potrebbero non scaricare l'onere sui prezzi, ma anche accettando questo punto, e presupponendo che i redditieri non abbiano esigenze di coprire le loro spese, come si comporterebbero poi nell'urna?
In altri termini: i politici sono disposti al suicidio elettorale, cioè sacrificare la propria rendita e quella dei loro famigli?

martedì 5 gennaio 2010

Quote rosa elitarie

E se le quote rosa obbligatorie diventassero poi un altro modo per dare il potere a un'elite rosa che, traguardando il mondo solo attraverso i propri occhiali griffati, perdesse di vista gli obiettivi di una parte - non importa quanto consistente - delle altre donne?

E se alcune donne volessero solo fare le casalinghe, e quindi avere leggi che si occupino di questa professione come, ad esempio, un sistema fiscale che agevoli le famiglie monoreddito?

E che fare per le altre che vorrebbero il part-time, e quindi asili nido e rapporti di lavoro decenti
e un futuro previdenziale?

E infine, come provvediamo per quelle che amano il lavoro - e anche avere una famiglia - per le quali il tempo pieno scolastico sarebbe un'ottima provvidenza, così come i congedi parentali condivisi e la detrazione dei costi dei collaboratori familiari?

Ma qual'è la verità? Che vogliono veramente le donne, cioè tutte le donne, e non l'elite rosa?

E' stata mai fatta un'analisi demoscopica (non partigiana) di what women want?

Non credo, forse perchè i risultati sarebbero spiacevoli per chi vuole che il mondo giri secondo le proprie belle costruzioni di donne che parlano quattro lingue, tre lauree, due master e dedite solo alla carriera?

Perciò, quello che è da evitare è che l'elite rosa, magari benestante e senza il vissuto dei problemi bagatellari quotidiani, pensi che quello che è buono per loro vada bene per tutte le altre.

Che poi è il problema italiano, dove le classi dirigenti - di qualsiasi colore esse siano - sono chiese, dove qualcuno scrive sacre scritture e tutti gli altri si devono adeguare al verbo fai quello che ti dico io, ma non fare quello che faccio io, come insegnano i recenti scandali bi-partisan di moralizzatori a senso unico obbligatorio.