lunedì 31 dicembre 2012

Digital divide


Un'amica mi segnala un film. Non nuovo. Non italiano, né americano. Secondo IMDB ne esiste in una versione originale argentina e una in inglese. Su Amazon c'è l'entrata per il DVD della versione originale, ma non è disponibile e neppure ne è prevista una disponibilità. E non c'è neppure usato.

Siamo alle solite: nonostante la rete, tutto il meccanismo di vendita dei prodotti digitali (film, musica, libri, immagini) è ostaggio del sistema di distribuzione tradizionale che, se non ha interesse, non mette il prodotto a disposizione del pubblico.

E non capita solo con un oggetto di nicchia. Ho dovuto regalare uno dei miei libri a un amico che lo cercava perché fuori produzione, anche se edito nel 2006; e un film cult come "L'ultima minaccia" è uscito in DVD dopo 5 anni da quando avevo iniziato a cercarlo.

Alla fine, come accade con tutte le cose desiderate e non facilmente reperibili, si finisce per doversi affidare a canali alternativi e sotterranei.

Ora, visto che un certo film o un certo testo non conviene produrli perchè se ne venderebbero poche copie, non sarebbe bello se il proprietario dei diritti lo mettesse in rete almeno in formato scaricabile accontendano così una nicchia di potenziali clienti che, non ti arricchiscono con un download, ma che fanno crescere il valore della marca e magari, vagando sul sito, comprano pure altre cose?

Ma forse è troppo futuristico.

domenica 30 dicembre 2012

Un governo di orbi


Come avevo scritto, i tecnici non possono governare. Governare è una questione complessa, fatta di leadership naturale, carisma e fiducia nel futuro. E la storia è piena di questi esempi di tecnici che credono che governare sia un fatto di numeri quando i numeri sono solo il mero substrato su cui prendere decisioni. 

Il più famoso dei tecnici messi nel posto sbagliato è stato sicuramente Robert McNamara che, improvvidamente nominato dai Kennedy capo del Pentagono, riuscì nell'incredibile impresa di far perdere agli Stati Uniti l'unica guerra della loro storia e dare l'illusione ad altri che si possa vincere contro una superpotenza che il 7 ottobre 2001, cioè un mese dopo l'attacco al World Trade Center, iniziò una guerra senza quartiere contro talebani e Al-Quaeda, eliminando i suoi capi e costringendo i superstiti talebani e quaeddisti ad una sterile guerriglia che ha ancora vive solo perché certe cricche pakistane le danno appoggio.

Anche noi, come quei puttanieri dei Kennedy, abbiamo voluto sperimentare i tecnici. E già con Berlusconi, il palazzinaro riuscito anche lui nell'incredibile impresa - per un governo liberista - di far crescere la spesa pubblica a livelli stratosferici avendo affidato le finanze pubbliche a uno come Tremonti, cioè un commercialista travestito da economista, con idee bislacche sullo stato dell'economia mondiale, da cui migliaia di giornalisti, in ginocchio, si abbeveravano come quelli che credevano che i Whiz Kids della banda di McNamara potessero vincere una guerra con le statistiche invece che con un bel bombardamento chirurgico del Nord Vietnam per ridurlo all'anno zero come, a suo tempo, era stata ridotta la Germania nazista, oggi ormai costretta alle guerricciole dei tassi d'interesse per soddisfare quel po' d'albagia teutonica rimasta nonostante la mazziata ricevuta da Napoleone a Jena, la sconfitta per mano franco-americana sulla Marna nel '18, nonché 50 anni di occupazione franco-anglo-russa-americana a ricordare ogni giorno ai tedeschi a non alzare troppo la testa. Anzi, giusto per la cronaca, mentre i russi se ne sono tornati nella steppa, in Germania ci sono ancora decine di migliaia di soldati americani con il dito sul grilletto.

Tornando ai tecnici alla guida del nostro paese, dopo la disastrosa esperienza tremontiana il nostro presidente della repubblica ha pensato bene di peggiorare le cose, affidando, non solo l'economia, ma l'intero governo ai tecnici, i cui risultati, in termini di gestione della cosa pubblica, finiranno per superare le fesserie di McNamara al Pentagono, con milioni di disoccupati difficilmente rioccupabili, migliaia di giovani laureati costretti a lasciare il paese, un debito pubblico che nonostante le cure tecniche e gli interventi di Draghi, continua a galoppare come un puledro ad Ascot, un'economia in parte moribonda e con la prospettiva che ci resterà un po' di manifattura e un po' di turismo. Insomma, una Grecia più grande.

Purtroppo Monti è un mezzo orbo che guida un governo di ciechi, in un paese dove anche le forze politiche sono del tutto disinformate su cosa accade nel mondo, e basti vedere le stantie ricette di Ichino, Fornero, Fassina e Giannino, che non hanno neppure il buon gusto di tacere, come fanno almeno Grillo, Ingoria, Vendola e Di Pietro, che non è che nascondono la loro ricetta economica: semplicemente non sanno che fare.

Buon Anno

giovedì 27 dicembre 2012

Case a prezzi popolari


Puntuale come certe ricorrenze, ogni tanto si scopre che numerosi potenti della genìa dei politici, dei sindacalisti, dei giornalisti e delle loro commarelle piazzate in posti sicuri, abitano appartamenti di enti pubblici per i quali pagano canoni irrisori che, tenuto conto di dove si trovano, (quasi sempre quartieri centrali ed eleganti), costano al metro quadro molto meno di quanto costi l'affitto di una casa popolare.

Di solito questa cosa sta sui giornali per un paio di giorni e ho l'impressione che serva da tappabuchi quando non ci sono da raccontare: stupri, mamme amorose che massacrano i figli venuti male, fidanzati maneschi e tanto studiosi di ogni tipo di pornografia, insalatona di studenti di vari paesi che fra un orgia e una sniffatina finiscono per massacrarsi a vicenda nonchè le immancabili storie pruriginose della Casta poco casta.

Poi, un rigore non concesso alla Juve, o uno di troppo concesso alla Juve, fanno passare in second'ordine gli affitti di favore a favore ai potenti, e tutto resta come prima, anche più di prima; e quando si cerca di mettere rimedio - vendendo queste famose case del patrimonio pubblico - si finisce come quando alcuni duri e puri della politica comprarono loro le case degli enti pubblici per qualcosa che era meno di un piatto di lenticchie.

mercoledì 26 dicembre 2012

Monti e il sudoku


A quanto pare le varie ghenghe politiche vanno alle elezioni con due profonde convinzioni: che non ne uscirà una maggioranza e che alla fine dovranno riaffidarsi a Monti, che è ormai per gli stranieri una garanzia in quanto è un tecnico.

Ma è proprio quell'essere "tecnico" che porterá un governo Monti "politico" a fallire qualsiasi obiettivo, sopratutto la ripresa economica e la riduzione della disoccupazione.

I tecnici infatti, i bocconiani e quelli che albergano a Via Nazionale, credono che un'economia sia una specie di sudoku che, per quanto complesso, ammetta un certo numero di soluzioni finite fra cui si possono selezionare quella più adatta.

Il problema è che questo non è per niente vero, e che qualsiasi manovra classica (monetaria e/o fiscale) non solo altera i paramentri del gioco, trasformandolo in un altro, ma, essendo le soluzioni applicate fra quelle prevedibili, accade che chi fa parte de sistema si adegua subito a manovre ben note e senza fantasia, vanificando del tutto le operazioni del governo.

Monti, classico giocatore di sudoku, circondato da furbi giocatori di rubamazzetto, fallirà se applicherá logiche analitiche e razionali ma, data la natura dell'uomo, è molto difficile aspettarsi da lui che cambi registro e improvvisi qualche cosa di non usuale.

La ragione? Perché lui non può sfuggire alla regola che ogni azione pubblica, che non sia usuale, o è sbagliata, oppure, se giusta, costituisce un precedente pericoloso.

sabato 22 dicembre 2012

Faccia al futuro


Mentre da noi un'accozzaglia di figure felliniane si appresta a celebrare altri inutili elezioni, mentre professori inconcludenti cercano di curare il malato Italia con pozioni medioevali, e mentre imprenditori, manager e sindacati cercano almeno di capire cosa stia accadendo in un mondo dove dovrebbero competere almeno ad armi pari rispetto ai maggiori paesi industrializzati, un libricino da 4 dollari, "Race against the machine" viene nominato libro dell'anno.

Di che tratta questo libro digitale? Del futuro. Dove le macchine sostituiscono gran parte dei colletti bianchi, anche in quei lavori che la gente crede moderni, molto fighi, ben retribuiti e con attaccato il cartellino di garanzia del posto fisso a vita.

Qualcuno l'ha letto in Italia? Non credo. Io? Certo che l'ho letto. Ma io non faccio testo. Non vado per TV e conferenze a spiegare come risolvere i problemi di domani con i mezzi del 1726, intervistato da commentatori che poco sanno anche di cosa sia un'onda hertziana o una fibra ottica.

Io, purtroppo, devo assistere ogni giorno allo spettacolo di over40 (ma anche over35) che non hanno un lavoro, non lo trovano dalle loro parti, si dibattono fra il restare o l'emigrare; o peggio, vedere persone giovani, neo laureate che non hanno una preparazione né una decente conoscenza del settore economico dove hanno deciso di competere. Colpa della scuola, ormai ridotta a trattenimento, dell'università, ridotta ad un esamificio, e delle famiglie che continuano imperterrite a credere che il futuro non arrivi.

Invece è arrivato, ed accelera. La tecnologia cambia tutto in maniera esponenziale. E quindi cambia il comodo scenario dove tutti, dal più fesso al più smart, potevano pensare di avere uno spicchio di futuro.

Ma a che serve dirlo? Come direbbe una mia amica argentina: ¡para que conste! Perché rimanga agli atti.

Atti digitali, perché la Internet non dimentica! In un futuro, quando parecchi lavori non ci saranno più, basterà googlare (se Google esisterà ancora!) e scoprire che ve lo avevo detto.

Buone Feste.


mercoledì 19 dicembre 2012

Secondo Emendamento

Dopo certe tragedie americane, un sacco di nostri commentatori mette mano alla penna e scrive senza aver mai letto il Secondo Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d'America, un emendamento, cioè una cosa aggiunta apposta per integrarla in un punto ritenuto fondamentale, cosa che fa pure il Primo emendamento, quello sulla libertà di parola.

La libertà di possedere e portare armi è stata stabilita per difendersi da un eventuale potere dispotico, ovvero da quello di uno stato centrale che debordi dai suoi confini istituzionali e vada ad interessarsi delle cose di una cittadina dell'Ohio o vada a sindacare i conti dell'Alaska.

Infatti, ogni stato ha la "sua" Guardia Nazionale, la sua polizia, e ce l'ha anche ogni comune.

Gli Stati Uniti non sono un paese regolamentato dal centro, come accade da noi dove il governo centrale mette le tasse, la riscuote e poi la dispensa pure, rendendo così irresponsabili sindaci e assessori che non devono confrontarsi con i loro cittadini cui direttamente avessero chiesto soldi per opere e spese inutili, spesso personali.

Purtroppo questo stato di cose, previsto in costituzione, provoca queste tragedie: ma nella cultura di indipendenza locale che impregna l'America, potrà mai esserci un politico a livello nazionale che voglia modificare e/o abolire secondo emendamento?

Sembra difficile, perché verrebbe visto come il primo atto di un potere centralizzato, assolutistico e dispotico.

martedì 18 dicembre 2012

E la cicala vince!

Un giorno d'estate, sotto una canicola atroce, la cicala si presentò al nido delle formiche. Si tolse le RayBan Aviator per entrare nel buio dell'opificio alacre, e salutó con uno smagliante bianco sorriso sotto la bocca rossa di Dior 644 Blossom.

"Ciao, carine, sono venuta a salutarvi! Vado al mare. Prima al Forte e poi a Saint Bart. Volete che vi porti un ricordino?"

"Non ci serve niente!" Urlò la regina cacauova irata.

"Noi siamo operaie, fatichiamo, risparmiamo, pensiamo all'inverno! E vedremo poi, quando nel freddo della neve non si troverà un seme, cosa mangeranno certe gaudenti socialite!"

La cicala si scrolló dalla vestina leggera un pagliuzza, bació con trasporto le operaie più vicine, saltó nella Z4, lanciò i 340hp, lasciando la scia di Chartusia e un dubbio sotto le teste delle formiche intente a farsi il mazzo per l'irosa regina.

E poi venne l'inverno, con tanta neve, e nel formicaio milioni di formiche si apprestavano a celebrare il pranzo di Natale.

La regina, a capotavola, stava per fare il sermoncino che i capi fanno sempre a Natale per sembrare più umani, ma ne venne interrotta da una cicala allegra e festaiola, con la bottiglia di Don Perignon in una mano e una pila di regali nell'altra!

"Ciao, carine, buon Natale. Sono passata giusto un attimino, parto per Gstaad"

Distribuì i pacchettini, sbaciucchió le operaie affascinate dallo zibellino lungo e dagli zaffíri sfavillanti, fece "ciao, ciao" con la mano ingioiellata Bulgari, lasciò dietro di se un profumo di Hermes 24 Faubourg, roba da 1.500 dollari l'oncia, e una certezza nelle formiche: che Jean de La Fontaine era il classico intellettuale "organico" che illude il popolo bue, uno che non ha mai lavato un cesso, smerdato un malato, spalato la neve e mendicato un aumento per pagare l'IMU.

Morale della favola è che scopo dell'intellettuale - giornalista, comunista, liberista, cattolico o calvinista - è di mantenere la gente in perpetua schiavitù - legale, morale, economica e religiosa - usando le catene più feroci: la speranza (vana) di un domani migliore e un paradiso (incerto) come magra consolazione di una vita persa a rincorrere autobus per arrivare in orario e non far incazzare una regina cacauova, pronta a mandare i suoi scherani a punire una formica dubbiosa che la sua sia una vita che valga la pena di essere vissuta.

sabato 15 dicembre 2012

Quel che resta del gioco


Alcuni segnali danno SB in ritirata, prova ne sia che il suo partito, il PDL, è in forte stato d'agitazione. Come mosche in una bottiglia di latte, sono incapaci di decidere se continuare a succhiare quel po' di latte rimasto in fondo o guadagnare la via d'uscita verso nuove avventure.

Dall'altro lato c'è un PD, cioè il vecchio PCI più pezzi di DC, ovvero il parto di due anime ideologicamente assolutiste e fideiste, che cerca di dimostrarsi democratico con primarie impupazzate dove di democratico c'è poco o nulla.

Ma se andiamo al fondo di questi due gruppi - l'un contro l'altro armato di TV, giornali, banche, industrie, cooperative e pretoriani - constatiamo che loro cifra è solo l'interesse personale di quelle che sono in fondo due cordate con uno scopo molto simile e prevalentemente economico-sociale.

Quella del PDL è stata assemblata per difendere i denari del capo e dei suoi sodali, quella del PD riunita per permettere agli ex rivoluzionari dalle terrazze del Corso di diventare gentry, con necessario corredo di case in quartieri bene, barche, figlie alla LSE e figli a Londra a trafficare con i derivati.

In definitiva, nessuno dei due schieramenti ha un interesse per la cosa pubblica, se non come ghiotta occasione di mantenere o migliorare il proprio status, e i movimenti più o meno folkloristici pseudo antagonisti dei gruppi egemoni hanno già mostrato (o mostreranno) che anche loro vanno a caccia di gentryfication tramite case, terreni, ville a Capalbio, vacanze a Sabaudia..

Che resta quindi a quei 30 milioni su 60, che non vivono di spesa pubblica, come speranza di veder cambiare qualcosa?

Beh, visto che non c'è nessuna guerra in vista, e poi, dopo la sconfitta, nessun invasore che viene ad aggiustare i nostri pasticci, e che i tecnici nostrani e quelli EU hanno come missione solo quella di non far affondare nave Italia (che si trascinerebbe dietro parecchie banche internazionali), non sembra che ci sia in vista che una lunga agonia da malato terminale cui nessuno vuole o può staccare la spina.

Insomma, il paese s'è ridotto come Castro: lo si tiene in vita finché possibile in attesa di una improbabile soluzione non drammatica: congelare il debito e ripartire a fare debiti.

lunedì 12 novembre 2012

Storia di un ascensore



Quando comprai casa Milano, mi piacque molto il fatto che ci fossero due ascensori e che l'utilizzo degli stessi fosse abilitato da una chiave nelle ore e nei giorni di assenza del portiere.

Due ascensori sono backup uno dell'altro, e se si abita a un piano alto e magari si è anziani, disabili o semplicemente con le buste della spesa da portare su, averne uno, sicuramente funzionante, è una bella certezza.

Poi ci sono stati furti, in orari non di servizio del portiere, ed era evidente che chi era salito ai piani alti aveva manomesso la serratura dell'ascensore, che poi si apriva con una chiavetta tipo quella delle cassettiere. Non il massimo della deterrenza.

Allora si è pensato di sostituire, alla serratura meccanica, una elettronica, che attiva l'ascensore mediante una specie di telecomando da avvicinare al sensore.

Il problema è che si ti viene a fare visita qualcuno, un fornitore deve portarti su delle cose, o il medico dell'INPS deve fare la visita fiscale, bisognava che qualcuno scendesse a prenderlo per attivare l'ascensore.

Un po' di riflessioni e il problema è stato risolto brillantemente: quando uno suona al citofono, e dall'appartamento si comanda l'apertura del portone, l'ascensore scende al piano terra e l'ospite può utilizzarlo senza la necessità del telecomando.

Morale della favola? È che l'elettronica è in grado di fare con poco sforzo un sacco di cose che agevolano la nostra vita, ma si deve trovare un gruppo di persone che vogliano risolvere un problema in modo nuovo e un tecnico della materia che si senta stimolato dalla sfida.

domenica 11 novembre 2012

Perché la startup software non è una buona idea


...a meno di certe condizioni.

Stimolati dalla rivoluzione digitale, molti credono di trovare in questo settore un avvenire, cioè qualcosa che potranno fare sempre o qualcosa che possa creare loro una rendita, vuoi perché inventano una cosa del tutto nuova, e la rifilano poi a qualcuno con i soldi, vuoi perché sono capaci di fare cose che altri non sanno fare in quel modo, in quel posto e in quel tempo.

La prima tipologia è quella che di solito è il fuoco che accende una startup: uno pensa di aver inventato una cosa nuova, parte in quarta e poi? E poi si accorge che quella cosa ha bisogno di soldi per essere lanciata o che quella cosa esiste già e che deve quindi combattere una doppia battaglia: pubblicizzare e vendere la sua cosa (trovando i soldi per farlo) per prendere una parte del mercato di quelli che già ci sono su quel settore.

Oppure effettivamente la cosa inventata è veramente nuova, riesce a lanciarla e dopo un po' si accorge che, o perché la gente ama copiare o perché a qualcuno viene la stessa idea, si ritrova nella condizione di prima: deve combattere contro i concorrenti (che diventano una folla) e affrontare il mercato che diventa più difficile, visto che chi compra si trova davanti  più offerte e quindi fa il prezzo...a meno che i venditori non si accordino per spartirsi le zone, i segmenti, le nicchie del mercato.

A parte il fatto che fare cartelli è proibito, (ma in altri settori si fa tranquillamente) nel settore digitale è impossibile per ragioni psicologiche, e lo vediamo dalle guerre di religione che si scatenano su sistemi operativi, linguaggi di programmazione, architetture hardware, perfino marche. Cause che finiscono in tribunale per anni. E anche se non si mettono in mezzo legali, il "creatore" si sente in dovere di difendere il suo parto ad ogni costo. Quindi il settore digitale non è un mercato come gli altri, perché le barriere d'ingresso sono inesistenti (un po' di hardware e imparare ad usare dei software non è una cosa costosa) ma è difficile che questo settore possa dare ad un imprenditore medio-piccolo molto di più di quello che prenderebbe se facesse l'impiegato o il professore.

E poi c'è il fenomeno della partenogenesi: da un'azienda di software ne nascono continuamente altre. Basta che uno sia licenziato, e che pensi di avere in mano i clienti del suo vecchio padrone, e voilà, nasce una nuova azienda di 2/3 profughi che a loro volta deprimono  i prezzi perchè certamente non possono fare i prezzi che faceva la loro vecchia azienda.

Quindi, in questo settore si salvano solo quelli che hanno brevetti o altre forme di difesa della proprietà intellettuale (che sono cose che comunque costano), oppure che hanno un tale capacità di fuoco come comunicazione, marketing e PR, da annullare nella mente di chi compra ogni eventuale concorrente.

venerdì 9 novembre 2012

Uomini della Provvidenza

Da Cincinnato in poi, gli italici hanno sempre bisogno di un uomo della Provvidenza per uscire da casini da loro stessi creati. Di solito, proprio come fecero con Cincinnato, lo pregano addirittura di assumere la carica di dittatore.

Vi ricorda qualcosa? Un certo generale Garubbardo che assume la carica di dittatore della Sicilia in nome del Savoia? O un certo Mussolini che deve risolvere i casini che il Savoia ha fatto in 60 anni di  malgoverno, guerre perdute male e vittorie ottenute peggio nonché scandali di tutti i generi?

Perfino quando Mussolini s'infila in una guerra che non può vincere nemmeno la Germania, c'è chi spera in fantomatiche armi segrete tedesche che dovrebbero ribaltare le sorti della guerra.

E a guerra persa c'è chi spalanca le porte e le cosce agli americani, questi sì che portavano la provvidenza sotto forma di viveri e calze di nailon. Cosa che non sta bene a quelli del PCI e del PSI che vogliono che arrivi Baffone a imporre la dittatura (un'altra?) del proletariato. E per fortuna che il buon Tito e signora , slavi anche loro, capiscono che forse non è il caso di concedere libero passaggio ai russi fino a Trieste e oltre.

Il resto è storia recente, Dal 1947 al 1994 la repubblica forgiata dal Savoia se ne rivela degna erede; salvo le guerre, il resto è uguale: scandali, amministrazione pubblica paleolitica, ruberie di ogni genere, debito pubblico galoppante e perfino le nefandezze di Giolitti, quello che si accordava con la camorra, portate a livello istituzionale con accordi sotto banco con la mafia di ogni tipo e anche contro i servitori dello stato.

Poi nel 1992, la misura sembra colma e gli italici si affidano ad un ennesimo uomo della provvidenza, il magistrato Di Pietro e un po' di carabinieri che fanno crollare un sistema di ruberie di politici. Ma, tolta la trave marcia, non è che quelli che ne vogliono mettere una buona siano così buoni o così graditi. E allora, ecco là un altro uomo della Provvidenza, il paperone delle TV che non solo deve allontanare il pericolo comunista (che nel frattempo hanno pensato bene di gentryficarsi con case nei quartieri bene e mandando i figli a studiare all'estero), ma SB deve pure rimediare ad una situazione economica che è sempre peggio.

20 anni di proclami e dove siamo arrivati? A trovare un altro uomo della Provvidenza, il prof. Monti, uno che si limita a fare quel che può fare, in pratica mettere un po' di stucco sulle rovine e qualche puntello alla casa ormai schiacciata da 2000 miliari di euro di debito. La stessa identica situazione che aveva il Piemonte prima di seguire il consiglio di andare a saccheggiare la Lombardia e il Regno di Napoli e la stessa che Mussolini risolse nel 26 congelando un altro debito pubblico spaventoso sempre provocato dal Savoia mani bucate.

Ma Monti è un tecnico, quello che mette una cinghia (presa allo scasso per risparmiare) sul motore di una macchina che deve essere completamente rivista se non rottamata del tutto.

E allora? Altro ricorso degli italici all'uomo della provvidenza. anzi, questa volta ben due: il Renzi e il Grillo, che ovviamente si sbattono pure loro per il bene della patria, ma che a tutt'oggi non ci hanno mai informato su come vogliono gestire una situazione, non solo nazionale, che diventa sempre più ingarbugliata.

domenica 7 ottobre 2012

Digitale iperuraneo e digitale terra terra

Il governo "tecnico" di Monti (risate in platea) vuole risparmiare 14 miliardi di euro con fantasmagorici progetti digitali.

Forse bastava sostituire milioni di PC della PA con thin client e tablet per risparmiare di più e velocemente.

Ma le bande di manichei digitali, incistati come parassiti nel vello del governo, non vedono lo spreco evidente e ne perseguono e ne procurano altri per inseguire la loro follia fideistica.

venerdì 5 ottobre 2012

SimCity Italia


Il governo Monti, nel classico stile sabaudo del facimmo ammujna, si esibisce in ukase modernisti su agende digitali, start-up, smart city e concorsi per direttori dell'agenzia digitale, o qualcosa del genere.

Temi alla moda per distogliere commentatori, del digitale "ad orecchio", dal disastro di nave Italia, ogni giorno sempre più evidente, cosí com'è ormai arenata nelle secche di un messianesimo economico senza fondamenti e senza fondamentali.

A me, tutta questa sceneggiata sul digitale e le smart city, fa venire in mente SimCity, un gioco per computer dove si deve gestire una città, con tutto quello che comporta in: riparazione di strade, fognature e costruzione di servizi di base e di quelli aggiuntivi, come può essere uno stadio o un parco giochi.

Ovviamente chi gioca, per fare tutte queste belle cose, ha un bilancio da gestire, bilancio alimentato da imposte sugli immobili della città digitale. E ancor più ovviamente, se decide di costruire lo stadio nuovo o un posto di polizia in un quartiere a rischio, deve aumentare le imposte o tagliare da qualche altra parte, col risultato che qualche strada maltenuta va in malora.

Insomma, è un gioco dove la regola aurea è: non esistono sfizi gratis! Se vuoi fare il museo Maxxi o l'Expo, lo devi far pagare ai tuoi cittadini, altrimenti il bilancio del giocatore di SimCity finisce in rosso e la partita finisce male.

Però SimCity, come tutti i video game, contiene delle scorciatoie «segrete», dei trucchi (in gergo "cheat") cioè delle sequenze di battute che permettono di aumentare i soldi nella cassa del sindaco digitale, e questo ovviamente, avendo cassa infinita, si può togliere tutti gli sfizi urbanistici, e per lui non esce mai la fatidica scritta: game over.

In Italia, questo gioco delle «scorciatoie» è diventato una cosa comune in tutti i comuni. Ma pure in ogni regione, provincia e comunità montana, per non parlare di enti grandi, mezzani, piccoli e picccolotti nonchè le loro filiazioni in finte Spa con socio unico.

Il loro trucco, la loro sequenza di battute, è piangere molto, inondando giornali e altri media (complici), di lacrime sul latte che non hanno ancora versato, ovvero su spese che non si possono permettere e che comunque vogliono fare, ovviamente spese per il bene del popolo, ma anche per dare per dare un po' lavoro a imprese che vivono di spesa pubblica e se resta, qualche mollichina pure per loro, povere stelle che si sono presi questo grande fardello di dover piangere e fottere il pubblico erario.

Erario che si è dovuto industriare, da un lato scorticando di tasse quelli che producono e dall'altro facendo debiti su debiti, a loro volta basati su altri debiti.

E tutto questo perché? Perché nessuno ha il coraggio di dire a sindaci e a governatori una semplice e amara verità tutti 'sti soldi per tutti 'sti sfizi non ci sono, perché non si lavora abbastanza e chi lavora produce poco, male e roba anteguerra.

Altro che digitale.







sabato 8 settembre 2012

I pidocchi del localismo

Pure la Baviera vuole la secessione dalla Germania. É un nuovo medioevo dell'Europa. A valle dell'11 settembre, l'impero americano ha lasciato la grassa e vile Europa al suo triste declino culturale, scientifico, tecnologico, industriale e morale.

E spaventati dalla crisi economica, senza una guida esterna, i vari gruppi etnici cercano nell'isolamento un futuro che non ci può essere. L'Europa, grazie al nazionalismo francese e a quello tedesco, si è suicidata, e proprio quando stava per volare alto.

L'euro dominava sul dollaro, il mondo pensava che stesse per nascere una super potenza economica. Invece, dove siamo adesso? Pronti per una balcanizzazione all'interno delle nazioni. Ognuno per se e Dio non lo s'invoca nemmeno perché l'Europa non ha più una fede. E i disastri del localismo, vedi lo stato fallimentare delle regioni spagnole, non fermano altri localismi. Tutti sperano che isolandosi nella loro turris eburnea, si salveranno. Pidocchi che abbandonano la carogna del bastardone europeo investito dalla storia, dalla tecnologia e dalla globalizzazione e accecato dal localismo della Germania e della Francia.

lunedì 16 luglio 2012

Stile di guida

Come avevo detto , negli Stati Uniti hanno scoperto che le banche che fissano l'indice di riferimento per i prestiti interbancari lo manipolavano in modo da procurarsi ingiusti guadagni, infatti su questo indice sono basati anche numerosi strumenti finanziari derivati, quei famosi contratti sottoscritti incautamente da molti enti pubblici locali italici, come il Comune di Milano, e anche da numerosissimi altri enti territoriali in ogni parte del mondo, Stati Uniti compresi.

Ora, che i banchieri inglesi, giapponesi, svizzeri e tedeschi, con la complicità di banche americane, andassero a truffare un po' di imbecilli nel vasto urbe terraqueo, può essere un azzardo che si può tentare, ma andare a truffare pure cittadini e loro comunità che appartengono all'unica super potenza rimasta, non è un azzardo ma una vera idiozia che prima o poi si paga cara.

E, infatti, il Department of Justice (DoJ) ha cominciato a istruire una pratica contro tutte le banche che fanno parte del comitato che stabiliva il LIBOR con la prospettiva d'incriminarne i vertici e magari estradarli negli Stati Uniti per fargli fare qualche anno di soggiorno, insieme a Madoff, nelle allegre prigioni a stelle, strisce e sbarre che si vedono nei film di Hollywood.

Una mossa che fa vedere subito qual'è lo stile di guida di uno stato serio in materia di giustizia: bilancia in una mano, spadone nell'altra e occhi bendati per non guardare in faccia a nessuno.

Cosa subito recepita dai tedeschi di Deutsche Bank e dagli svizzerotti di UBS che pare stiano attivamente collaborando con gli inquirenti a svelare una truffa di dimensioni colossali, una che potrà portare decine di istituzioni, aziende e privati a trascinare in tribunale le banche che hanno partecipato al festino per chiedere loro risarcimenti di svariati miliardi di dollari.

venerdì 13 luglio 2012

Progresso per tutti

Per due volte oggi mi sono imbattuto in Henry Ford. La prima volta parlando con un ex collega che mi citava una bella frase dell'uomo che mise l'America su quattro ruote: "Non c'è progresso se non è progresso per tutti". Frase che ben s'accorda con l'aneddoto riportato nel libro Race Against the Machine , un saggio che analizza la disoccupazione crescente come ingenerata dall'automazione e del perché, piuttosto che combattere la macchina, dobbiamo imparare a convivere con macchine che oggi sono in grado di sostituire anche milioni di colletti bianchi, dopo che hanno eliminato di milioni di braccianti e altrettanti milioni nell'industria e nella manifattura.

Ford, mostrando al capo del sindacato dell'auto (UAW) le linee piene di robot, disse scherzando: adesso prova a farti dare il contributo sindacale da questi operai. E il capo del sindacato, con prontezza: e tu prova a fargli comprare le tue auto.

In questo scambio di battute c'è la ragione della crisi che, almeno negli USA, ha lo strano aspetto della jobless recovery, con aziende che fanno tanti profitti, i più alti degli ultimi 50 anni, ma non assumono più nessuno, anche se i salari sono i più contenuti degli ultimi 50 anni.

La ragione è che le imprese hanno colto l'occasione della crisi per fare una manovra contro intuitiva, hanno investito in automazione e in organizzazione, e hanno cominciato ad eliminare i lavoratori semi-qualificati, quelli che possono essere sostituiti da macchine o da processi gestiti da macchine che parlano ad altre macchine che magari sono di altre aziende.

E tutto questo perché i costi dell'automazione sono terribilmente scesi in proporzione alla potenza di calcolo disponibile oggi, ed anche perchè le aziende e le persone sono sempre connesse, e questo facilita il dialogo fra sistemi eterogenei di aziende diverse e permette ai lavoratori più qualificati di poter lavorare continuamente, attraverso il loro smartphone o attraverso un tablet, dialogando da qualsiasi parte del mondo con i sistemi informativi aziendali o quelli di terze parti.


Le aziende premiano con salari importanti questo tipo di lavoratori super star, mantengono a salari bassi quei lavoratori non qualificati, di cui c'è un'abbondante riserva nazionale o d'importazione, ed eliminano quelli che stanno in mezzo, la gente della classe media facilmente sostituibile dalle macchine, la cui potenza di calcolo è oggi abbastanza grande per fare cose che una volta faceva un impiegato ma non ancora abbastanza da poter guidare una gru, un camion, fare un'iniezione a un ammalato, fare la manicure o tagliare i capelli a una signora. Così come le macchine non hanno le capacità creative, di intuito e di relazione che devono avere i lavoratori di alto livello: Amministratori Delegati, Direttori Marketing, Direttori Finanziari, Direttori di Sistemi Informativi, Responsabili di Produzione.

Lo scenario è quindi quello di una massa di persone, spesso di mezza età, che non può più lavorare come faceva prima, non può accedere ancora alla pensione, non è in grado di assicurare ai figli possibilità di accedere all'università che oggi è l'unico mezzo per poter essere considerati nell'universo lavorativo dove si richiedono solo elevate conoscenze.

Un panorama che i politici non comprendono, anche perché tendono a imputare il problema della disoccupazione ad altri fattori (inflazione, globalizzazione) quando la ragione dei bassi consumi è molto semplice: i lavoratori ad alto reddito, gli imprenditori, i professionisti e gli investitori, soddisfatte le loro esigenze primarie e secondarie, hanno abbastanza reddito da metterlo da parte e non spenderlo, mentre i lavoratori di basso livello, con salari di mera sopravvivenza, non solo non riescono a soddisfare le loro esigenze primarie, ma devono pure indebitarsi per soddisfare qualcuna delle secondarie, magari facendo mutui su mutui e prestiti su prestiti, per consumi comunque irrisori.

Gli altri, quelli espulsi dal mondo del lavoro, vivono di terrore, consumano i risparmi, cercano di riciclarsi, senza però un aiuto che li faccia accedere a conoscenze superiori che permettano loro di accedere ai lavori di livello superiore.

Una situazione non gestita, che non viene compresa neppure dal sindacato, uno dei maggiori responsabili della disoccupazione avendo fatto inutili battaglie per difendere posti di lavoro che sono comunque spariti, aderendo alle profferte idiote dei datori di lavoro marginali, quelli che hanno creduto di salvare le loro attività abbassando (di fatto) i salari, e rimandando di qualche anno la morte delle loro aziende dove avrebbero dovuto investire in automazione salvando quella parte del personale che poteva convivere con le macchine.


E anche le manovre dei politici, bacchettati dalle banche centrali per mandare la gente in pensione quando più tardi è possibile, non servono a molto in quanto la gente rimane a lavorare (se c'è ancora il posto di lavoro) ma con una produttività sempre più bassa perchè non coadiuvata dall'automazione, e perché è stato dimostrato che il lavoratore, pagato male e terrorizzato, produce poco, con buona pace dei metodi di galea veneziana che un ministro voleva applicare ai lavoratori, sia pubblici che a quelli privati. E se si produce poco, si vende poco, e se si vende poco s'incassano poche imposte e pochi contributi.


La soluzione non è semplice, e come al solito, contro intuitiva: bisogna prendere atto che molte persone non sono ricollocabili perchè non in grado di convivere con le macchine, e quindi, o vanno riaddestrate e guidate verso nuovi percorsi di vita, o vanno pensionate senza falsi moralismi, altrimenti avremo quelle situazioni, già purtroppo viste, di aziende che si spengono lentamente, con uno sciupìo di soldi, spesso pubblici, che non possono resuscitare uno zombie che dovrebbe poi utilizzare le residue meschine forze contro macchine sempre più potenti.

Dobbiamo utilizzare le possibilità delle macchine per far progredire tutti, altrimenti perderemo tutti.

lunedì 9 luglio 2012

Investimenti e tasse

Nel 1688, la Gloriosa Rivoluzione conclude in Inghilterra un periodo di guerre civili e si afferma il potere dei ceti produttivi nella gestione dei bilanci pubblici statuito con la frase diventata la base della democrazia inglese, di quella americana, e poi di tutte quelle da esse derivate: no taxation without representation.

Frase sintetica che dice che tasse e imposte devono essere votate da rappresentanti dei cittadini e non calate dall'alto, magari da un potere dispotico, il cui scopo non è il bene comune ma quello particolare di alcuni soggetti, che sia un re unto dal Signore, un dittatore di una repubblica centro-africana o la nostra Casta e il suo codazzo di clientes e pretoriani.

Ma i superficiali si fermano alla rappresentanza e del tutto ignorano un principio ancora più basilare: in una democrazia le tasse devono essere uguali per tutti, che non è la stessa cosa dell'uguaglianza davanti alla legge penale e a quella civile.

Infatti, mentre il giudice civile o quello penale valutano, caso per caso, l'applicabilitá delle norme, la legge tributaria non ammette differenze di applicazione se non stabilite per legge.

Perciò, se uno ha un'auto con un certo numero di cavalli fiscali, pagherá la stessa tassa di circolazione che paga un altro soggetto con un auto di pari potenza. Se uno in busta paga si trova 1.000 euro e paga l'imposta prevista, un altro lavoratore, della stessa azienda o di un'altra qualsiasi, pagherà la stessa imposta. O così dovrebbe essere.

Questo è il principio che, al di là dell'evasione e dell'elusione, in Italia in pratica non viene applicato, stante il fatto che di fronte a ricorsi dei cittadini su casi che richiedono una interpretazione della legge tributaria, le commissioni tributarie prendono decisioni diverse sullo stesso argomento, costringendo il contribuente a cercare di sanare la questione sottoponendola ai diversi gradi di giudizio, fino alla Cassazione, con risultati che, alla fine della fiera, provocano effetti differenti per contribuenti diversi anche se l'imposta di cui si dibatte è la stessa.

Ció premesso, e riportando tutto alla crisi economica italiana, dove accanto a problemi di carattere planetario c'è il fatto che gli investitori in titoli di stato italiani pretendono uno spread altissimo, e molto evidente che questa disgrazia è dovuta ad una mancanza di fiducia in un paese i cui sistemi stanno tutti collassando: dalla scuola alla sanità, dalla giustizia al sistema fiscale, dai trasporti al contrasto alla criminalità.

Ma anche gli investimenti in attività produttive da parte degli stranieri sono in quantità risibile. E come potrebbe essere altrimenti se non c'è certezza di quali tasse si dovranno pagare?

Quindi, il professor Monti, invece di prendersela con Confindustria e Sindacato, cioé con quelli che producono, se la prendesse con quella parte della P.A. che fa sentenze variopinte e variegate in materia tributaria azzerando la fiducia degli stranieri e quella residua degli italiani.

martedì 3 luglio 2012

I massaggiatori del LIBOR

Così i giornali inglesi chiamano quei banchieri sorpresi (dagli americani) a massaggiare il LIBOR.

Un massaggio che non ha niente di sessuale, come quelli che fanno in certi centri benessere tailandesi, e neppure terapeutico, come quelli che le signore si fanno fare a giugno per far dimunire la ciccia da peperonate e da troppo aperitivi shakerati.

Massaggiare il LIBOR, ma anche l'EURIBOR, è un modo pittoresco per definire una pratica truffaldina: alcune banche inglesi (infatti la L di LIBOR sta per London) truccavano il valore di questo indice per truffare altre banche e anche i consumatori.

In pratica, alterando i due indici, su cui sono basati prestiti e mutui, si procuravano un ingiusto guadagno ai danni di persone e istituzioni che credevano sulla bontà e l'imparzialità di chi gli indici li gestisce e che invece partecipava attivamente al gioco per procurarsi guadagni miliardari.

Qualcuno si è dimesso. A qualcuno la Regina ha tolto il titolo di Sir. Altri corrono il rischio di essere incriminati dalla magistratura inglese e per altri c'è la richiesta del Dipartimento della Giustizia americano di estradarli negli Stati Uniti.

Ma la conseguenza più grave è l'uragano di cause che sta per abbattersi sulle quattro banche inglesi coinvolte (Barclays, RBS, HSBC, Lloyd Banking Group). Cause che chiunque ha un mutuo o un invetsimento collegato a questi indici può fare. E sono risarcimenti per miliardi in qualsiasi valuta. Un colpo che può distruggere l'intera industria finanziaria londinese.

venerdì 29 giugno 2012

Comma 22 in Italia



Se un italico si accorge che gli hanno clonato la carta di credito inizia un percorso ad ostacoli per superare il mare di comma 22 sparsi a piene mani da burosauri pubblici e privati.

1) deve andare in questura a fare la denuncia

2) con la copia della denuncia va poi in banca

3) in banca gli dicono che il funzionario di polizia gli ha dato l'originale invece della copia

4) l'originale non può essere accettato dalla banca perché l'assicurazione non paga

5) nemmeno una fotocopia può essere accettata

6) l'italico deve ritornare in questura

6) se il funzionario non c'è, e se si chiede quando tornerà, gli dicono che dirlo è contro la privacy

7) allora si chiama il direttore della banca minacciando di togliere il conto sostanzioso

8) dopo due giorni la banca vi ridà la carta

giovedì 28 giugno 2012

Customer Care

In Gosford Park di Robert Altman c'è una scena che riassume che cosa dev'essere la customer care, la cura del cliente, cioè tutte quelle attività che permettono di risolvere ogni problema che il cliente possa avere nell'utilizzo dei servizi e dei prodotti di un'azienda.

Nel film, dame Helen Mirren è Mrs. Wilson, la governante di una facoltosa famiglia inglese, che provocata da un investigatore, spiega qual'è la qualità speciale che distingue un buon servitore.

"Quale pensa sia il dono che debba avere un buon servitore per distinguersi dagli altri? E' la capacità di anticipare. Io sono una brava domestica. Sono più che brava. Sono la migliore, Io sono una domestica perfetta. So quando avranno fame, e i pasti saranno pronti, so quando saranno stanchi, e i letti saranno pronti. E lo so prima che lo sappiano loro stessi".

Ecco, un'azienda che voglia avere una customer care superiore deve anticipare cosa può accadere al cliente ed avere pronte tutte le procedure per risolvere il suo problema.

Anche perchè se non risolve i problemi dei clienti è sicuro che avrà essa un problema da risolvere: la propria sopravvivenza.

martedì 26 giugno 2012

Tax Wars

Tanto tempo fa, in una galassia lontana, lontana, c’era uno strano pianeta dove centinaia di sudditi fecero la stessa causa contro l’esoso imperatore che lì dominava.

Chiedevano solo che un giudice si pronunciasse sulla liceità di un’imposta che li aveva colpiti, tutti, in-di-stin-ta-men-te.

Ora, secondo le leggi del singolare pianeta, vennero istruiti tanti procedimenti diversi, uno per ognuno dei ricorrenti.

Infatti, come s’è detto, era uno strambo pianeta.

E in questo bizzarro posto, un luogo che farebbe la gioia di quella curiosona di Alice, accadde che fossero emesse tre tipi di sentenze diverse, quasi che al posto dei numerosi giudici ci fosse la terribile Regina di Cuori, quella stravagante despota che taglia teste e gioca a croquet usando come mazze poveri fenicotteri irrigiditi.

Infatti accadde che, in alcuni casi, il suddito vincesse, anzi trionfasse contro l’esoso signore, che dovette perciò restituire fino all’ultimo zecchino dell’imposta pagata, in-giu-sta-men-te a dire del giudice.

Anche in altri casi il suddito vinse, ma venne deciso che l’imposta applicata doveva essere molto più bassa di quella applicata al momento del prelievo.

E poi c’erano anche i poveri disgraziati, quelli che persero e dovettero appellarsi al giudice interstellare e poi a quello di livello galattico.

E ovviamente anche l’imperatore, dove le aveva prese, s’appellò. Ma non per tutti! Altrimenti non sarebbe stato uno stravagante pianeta.

Per qualche ignota ragione, - e solo verso alcuni dei vincitori -, il signore non oppose resistenza.

Per tutti gli altri poveri disgraziati ci fu invece il mesto peregrinare per decine di anni fra le varie corti, rimettendoci salute, denari e soprattutto la fiducia nel loro bislacco pianeta .

Infatti, non votarono più, dissero ai figli, ai nipoti, agli amici, ai figli degli amici e ai nipoti degli amici, a quelli dei benefattori e dei conoscenti, di fuggire al più presto con la prima nave interstellare su un qualsiasi altro pianeta civilizzato, e di riferire a tutti coloro che volevano sbarcare sul loro singolare pianeta di non venire a investire nemmeno uno zecchino, perché il meglio che poteva capitargli era di finire in una specie di casinò dove tutto dipendeva da come il croupier girava la ruota.

lunedì 18 giugno 2012

Smart Phone Dumb Software

Nel 97, quando stavo in SocGen, avevo un PC IBM e un Nokia 8110. A dire il vero il PC lo uso ancora come muletto e di 8110 ne ho 6.

Attaccavo il cavetto, e da una piazzola d'autostrada, entravo in contatto con sistemi, colleghi, clienti, fornitori dovunque fossero: Parigi, Sophia Antipolis , Milano, Roma, Napoli.

In Experian mi diedero un Nokia Communicator e la vita migliorò, perché, per certe cose, non serviva nemmeno più un PC.

Poi sono venuti gli smartphone, ed è cominciato l'inferno, nel senso che il dialogo telefono-PC è diventato più difficile di quello di una coppia al settimo anno di matrimonio.

Non ha funzionato con nessuno: Nokia, Motorola, Blackberry, Nec, tutti hanno creato problemi di connessione, compatibilità con il PC e, ovviamente, pasticci con rubrica e agenda. Anche iPhone e iPad dimostrano che neppure San Steve Jobs da Cupertino poteva fare miracoli con il software visto il comportamento vagotonico di iTunes che a volte avrebbe bisogno di un esorcismo.

Pure l'ultimo smartphone Android che mi hanno dato, fa un po' quello che vuole. Anzi, il software di Samsung non riconosce nemmeno il suo stesso telefono.

E, ovviamente, sei sempre solo. Senza un aiuto. Nulla sul sito del costruttore, nessuna medicina sul sito di Apple o di Microsoft, ed è meglio non chiedere assistenza ad un contact center, dove il personale andrebbe tutto sostituito da un bel IBM Watson che almeno potrebbe imparare dalla soluzione di incidenti similari e dare una risposta precisa ad un errore che non puó essere nato solo dall'accoppiamento fra il mio smartphone e un software scritto con i piedi.

La verità è che un telefono viene progettato secondo le regole ingegneristiche di chi produce un oggetto fisico di livello industriale. Insomma, una macchina, prima di andare sulla catena di montaggio viene progettata per funzionare sempre allo stesso modo. Vale a dire che se metto la prima o accendo i fari il risultato sarà sempre lo stesso e non variabile per misteriore ragioni.

Il software purtroppo non è quasi mai progettato a livello industriale, perchè scrivere software è appunto scrivere, con la possibilità data dal digitale di poter sempre cambiare, aggiungere e togliere pezzi, il tutto in un ambiente non controllato, per cui il programma, quando pure fatto bene, installato su un sistema operativo per PC (Windows, Mac, Linux) si trova in un ambiente che non è mai quello di test, e ovviamente il software, per fare in fretta e/o farlo costare poco, non viene provato in tutte le condizioni possibili.

Infatti, il software che pilota un radar, un cacciabombardiere o un'automobile subisce test rigorosi e l'ambiente di esercizio è altamente controllato: nessuno installa un nuovo software sull'avionica di un aereo se non secondo procedure accurate e, in certi casi, autorizzate e controllate da autoritá esterne, e il tutto con costi molto alti.

L'industria delle telecomunicazioni, invece, cerca di fare strumenti che costino poco in modo da sfornare milioni di pezzi di sempre nuovi telefoni, che peró fanno perdere milioni di ore di lavoro a utenti che devono cercare di far parlare un telefono, cioe un prodotto tecnico sofisticato, con un PC, cioé una specie di giocattolo progettato da gente che passa il tempo fra una finestra aperta sul sito della squadra del cuore, una su un sito di escort, FB, Angry Birds, twitter e il meteo.

Che ci troveranno poi nel meteo non l'ho mai capito.

mercoledì 13 giugno 2012

L'impero di carta


Anno 2012, ascolto in Assolombarda fantasmagorici progetti dell'Agenda Digitale "all'Italiana" sull'eliminazione della carta dalla Pubblica Amministrazione.

E poi penso che devo compilare il modello F24, in triplice copia, per pagare l'IMU che, a differenza dell'ICI, non si può pagare online ma con doverosa fila alla Posta.

Il governo tecnico, oltre i soldi, vuole anche il pellegrinaggio di espiazione e contrizione.

martedì 12 giugno 2012

Alta fedeltà

Una catena di supermercati mi ha dato a suo tempo una carta fedeltà, una di quelle che permettono anche di pagare il conto della spesa. In effetti è una carta di credito e perciò ti mandano, con plico a parte, il PIN da utilizzare.

Un altro codice da ricordare insieme a quello dei bancomat, della carta di credito e del portone di casa con apertura elettronica.

Ma quando sei alla cassa del supermercato, da solo, con le buste da riempire, la fila dietro che ti guarda in cagnesco e il biglietto del parcheggio da vidimare, fai prima a tirare fuori l’American Express, una firma e via a fare il Tetris con le buste nel bagagliaio della macchina.

Perciò questa carta non l’ho mai usata e così mi hanno mandato una letterina con la quale mi avvisavano che la carta mi sarebbe stata revocata per non uso ma che potevo andare in un punto vendita dove mi sarebbe stata sostituita con una carta fedeltà normale.

Così una domenica chiedo di cambiare la carta, e prima stranezza, devo compilare il modulo di richiesta anche se faccio notare che sono sempre la stessa persona, che non è cambiato niente nella mia vita e che i miei dati dovrebbero averli nei loro sistemi informativi. O no?

Ma l’addetta, che ha l’aria di aver visto per la prima volta nella sua vita uno che fa un ragionamento, è inflessibile, e mi ricorda tanto quello che alla visita di leva parlava di prassa da rispettare.

Compilo il modulo, (con latte, yogurt, burro, uova e formaggi che temono l’interruzione della catena del freddo), mi danno un’altra carta e mi assicurano che i punti della carta sono stati trasportati sulla nuova.

Una settimana dopo passo la carta sotto l’apparato che consegna il terminale della spesa self service ma la rifiuta: carta non abilitata. Per attivarla, dovrei andare al punto vendita, rigorosamente dal lunedì al giovedì (e chissà perché il venerdì no!), e sarà attivata… dopo ben due settimane. Due settimane per attivare una carta a uno che è già cliente da anni? E che faranno mai in due settimane?

Un’indagine sulla mia attitudine ad occultare una busta di zafferano (che qui tengono in cassaforte)?

O sarò spiato da ex agenti del Mossad e da esperti della NSA per capire se ho capacità di manipolare i codici a barre per risparmiare i 75 centesimi del latte intero?

Misteri della GDO, Grande Distribuzione Organizzata. Quanto organizzata, è tutto da vedere.

E tutto questo pasticcio da dove nasce se non dal fatto che il supermercato t’impone il suo PIN? E questo quando ci sono aziende come l’IKEA, che il PIN non lo richiede per la sua carta di credito, o come American Express che il PIN (di quattro cifre) te lo fa scegliere, come per altro si fa in molti paesi, già dal 1980, come strumento di marketing. E mi pare che IKEA e American Express, che processano milioni di transazioni ogni ora, debbano pure averla qualche competenza in materia di sicurezza di transazioni finanziarie.

Ma noi abbiamo un sacco di saccentoni che si occupano di cose che non capiscono e ci ammanniscono sistemi cervellotici come i PIN imposti, quelli che tutti si appuntano diligentemente in un post-it nel portafogli o nel cellulare che, non appena va in assistenza, rivela ad un tizio qualsiasi i PIN e gli SMS segreti all’amica del cuore.

domenica 10 giugno 2012

...e torture private

Constatato che gli italici sono troppo buoni, per non dire fessi, visto quello che sopportano dalla P.A., pure i privati fanno quello che mai s’azzarderebbero a fare all’estero, dove una bella class action gli farebbe mollare l’acino, la fronda e lo streppone.


L’ultima è di una società telefonica per il subentro di un contratto.

Si va al punto vendita, sperando che un tale apparato super colorato, con tanti giovani cortesi e disponibili, permetta di fare tutto sul posto.

Illusione, dolce chimera sei tu! http://www.youtube.com/watch?v=9OxKDFWu7b4 , recitava la canzone del 1940 censurata dal regime fascista perché poteva mettere in dubbio l’apodittico Vincere e Vinceremo mussoliniano tanto applaudito dai romani festanti.

Per la bisogna, le ragazze, cortesissime, ti stampano un pacco di moduli (su carta da 80 grammi) che, ovviamente, devono essere spediti per raccomandata con ricevuta di ritorno, con allegati documenti di identità del cedente e del subentrante nonchè un po' di autocertificazioni, tutte carte che loro già possiedono visto che il subentrante è già loro cliente.

Compilati e spediti, dopo coda alle Poste e obolo di 6 euro, si aspetta.

Dopo qualche settimana telefona una voce slava che ti dice che “documento identità scaduto” e quindi “noi non possiamo procedere subentro”.

E il tono è quello sbirresco di una allevata in regime filo-sovietico dove un documento scaduto ti portava, come minimo, a fare un giro alla Lubianka per essere interrogato dal colonnello Putin.

Faccio però notare alla ausiliaria del KGB, ridotta a operatrice di call center nell’odiato occidente capitalistico, che c’è una legge del 2008 che allunga la scadenza dei documenti d’identità a 10 anni, ma la guardiana del gulag telefonico mi dice “noi non sappiamo di questa legge e possiamo solo aspettare che tu manda fax con documento d’identità aggiornato”.

Imperativa e conclusiva, ti fornisce un numero di fax e fine delle trasmissioni, incurante che gli si prospetti il cambio di gestore: a lei non interessa, segno evidente che in una cultura totalitaria l’importante non è il profitto dell’azienda (generato di solito dai clienti) ma il meticoloso adeguamento alla prassi, senza porsi nemmeno il dubbio che il cliente abbia (almeno qualche volta) ragione.

D’altra parte, sono stati scritti migliaia di libri su come la gente comune sia disposta a torturare e uccidere solo per rispettare una stupida prassi.

Come è finita? Si chiama il servizio clienti, si racconta l’accaduto (a una italica comprensiva), questa invita a mandare la pagina internet dove c’è la notizia della legge alla collega kapò. Via fax.

Chiesto se si possa mandare via e-mail, dice che non è possibile: quelli del gulag accettano solo fax. Ma la italica ti viene incontro: si può mandare una e-mail a lei che poi la faxerà alla slava feroce.

Conclusione: una grande azienda che opera in un settore moderno, che ha bisogno di documenti dei suoi clienti per svolgere il suo compito, dove non si sa che la legge è cambiata e dove nessuno si è mai preoccupato che forse è bene dare un pelino di fiducia ai clienti.

Se lo considerano un cliente.

Ma dubito che sia considerato più un fastidioso rompiscatole che uno che fa fatturare.

mercoledì 23 maggio 2012

Il paese ineguale


Dumont, in Homo Hierarchicus, analizza il sistema delle caste indiane, ne spiega la sua funzione in una società agricola dove le regole disciplinano i rapporti fra gli umani creando una società olistica, cioè volta essenzialmente a mantenere l'ordine attraverso comportamenti obbligatori e conformi alle leggi.

Nel 1977 Dumont pubblica Homo Aequalis, un saggio fortamente contrapposto al precedente perché esplora le società basate sulla parità, caratteristica delle società occidentali che sorgono dopo la Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688, rivoluzione nata dall'esigenza moderna di privilegiare la libertà di impresa, ma anche quella di prestare lavoro per chi paga meglio e dove si vuole, libertà connaturate alla nascente società industriale che può esprimersi al meglio solo se si eliminano i monopoli, le servitù e i privilegi tipici della Casta.

Non a caso la classe dirigente italica si è finita per associarla ad una Casta (superiore) indiana o all'Ancien Régime pre rivoluzione francese. Perché, pur formalmente un paese democratico, cioè basato sulla parità di diritti e dei doveri, lo stato italiano è rimasto quella sabaudo-papalino dove anche la struttura della Pubblica Amministrazione ha il solo scopo di mantenere un regime olistico, cioè basato sulla conformità alle norme e oggi degenerato nel conformismo più codino.

Anche nella nomenclatura si ravvede la gerarchia: mentre nei paesi di uguali il dipendente pubblico è un public servant, da noi è un pubblico ufficiale a far notare anche nel lessico che l'impiegato allo sportello fa parte di una gerarchia che da ordini ai cittadini (ma sarebbe meglio ai sudditi) e pretende da questi continue prove sotto forma di certificazioni da esibire ad altri pubblici ufficiali, un che evidentemente opposto alla cultura anglo-americana dove non esitono neppure i documenti d'identità e dove numerosi tentativi di introdurli sono stati rifiutati con battaglie civili non di poco spessore.

Ovviamente, questa disuguaglianza scende per rami: lo stato ordina alle sue emanazioni e queste ai loro dipendenti che impongono la conformità ai sottoposti di livello inferiore, e tutto questo porta a una totale sudditanza degli enti periferici che, non potendo autoregolarsi, nè stabilire, incassare e gestire proprie imposte e tasse, sono essenzialmente enti locali delegati dal potere centrale, senza alcuna responsabilità su quello che spendono visto che non lo raccolgono.

Insomma, è grasso che cola che l'Italia sia riuscita ad avere una crescita per un certo periodo: nonostante una casta che estraeva ricchezza dalla società produttiva, questa riusciva a produrre abbastanza valore aggiunto da poter mantenere un gruppo di parassiti improduttivi.

Ma ogni casta subisce continui attacchi da parte di bande che intendono sostituirla e questo porta a lotte intestine o all'allargare i privilegi ad altri gruppi antagonisti, con il conseguente aggravarsi del fardello di tasse, imposte e balzelli scaricati sul ceto produttivo.

E questa in breve la ragione della crisi che affligge il paese: una società gerarchica, una classe dirigente famelica che aggiunge continuamente posti a tavola per allattare nuovi banditi.

mercoledì 9 maggio 2012

Non ci serve un grillo saggio


In un paese di Pinocchi, bravissimi a mettersi nei casini e sempre pronti a chiedere un tocco di bacchetta magica allo stregone di turno, mancava un grillo parlante. E l'abbiamo trovato!

Un grillo che parla, parla, parla, parla. Che magari dice pure cose giuste e denuncia fatti veri ma, purtroppo, come il grillo di Collodi, sa solo fare da specchio delle malefatte dei politici e dei loro 4 o 5 milioni di loro pretoriani, clientes, famigli e famiglie.

Il problema che a Grillo, e come prima a Bossi e a Di Pietro, manca la capacità di vedere il quadro d'insieme, the big picture, come dicono gli americani; e se non si ha questa capacità (in un mondo complesso e iperconnesso) é difficile elaborare una seria strategia per uscire dalle sabbie mobili fatte di debiti, crisi strutturale, necessità di essere moderni e sopratutto capire che ruolo dobbiamo avere nella macchina mondiale.

Manca a lui (e pure a tutti gli altri!) una strategia! Ed questo é il nostro male: vivere alla giornata, dell'eventuale. Sperando che la risacca porti a riva qualche marine che cacci i tedesconi cattivissimi e magari ci porti pure un bel pacco di dollari di aiuti.

Ma quel tempo e quell'età sono finiti nell'89. L'unico asset che valeva qualcosa era il nostro territorio come base strategica. Ma l'unico nemico s'é squagliato. Senza combattere. E quelli del KGB sono corsi a spartirsi le spoglie dell'URSS. Al più, agli americani, basta Sigonella, che é cosa loro.

Insomma, é inutile aspettare che arrivino i nostri. Non verrà nessuno. Nè vicino, perché ha guai come i nostri o sta per finirci con tutte le scarpe. E neppure lontano, perché anche i cinesi hanno le loro belle gatte da pelare, visto che si parla di colpi di stato e d'importanti congressi del PCC rimandati.

Siamo soli, e pure separati in casa con gli alleati europei, di cui é evidente la voglia di tutti di sostituire al tutti per uno un più prosaico egoistico ognuno per se e Dio per tutti.

Questo lo scenario e giuste le denunce del grillo sapiente che, proprio perché sapiente, sa. Ma una volta che sappiamo, che facciamo? Una volta tolte le termiti, cosa ne facciamo questo edificio marcio? Qual'é la strategia per raddrizzarlo e rafforzarlo? Non sembra che ce ne sia una che sia una. Si rivede solo un film già visto: personaggi nuovi, saliti al soglio a furor di popolo, e senza un minimo di progetto.

domenica 6 maggio 2012

Gli indici del disastro

C'è poco da commentare su questi indici che riguardano l'Italia.

- 69ma per corruzione
- 40ma per libertà di stampa
- 92ma per libertà economica
- 31ma per opportunità economiche per le donne



sabato 5 maggio 2012

Il cammino argentino


Per un certo periodo l'Argentina é stata una nazione ricca. Molto ricca. Ricca più di molti stati europei. Anche più dell'Inghilterra da cui copiava stili di vita.
Una ricchezza che attraeva emigranti e permetteva un benessere diffuso ad una popolazione molto più istruita degli altri paesi dell'America Latina.
Ma il paese aveva una malattia subdola: una classe dirigente che essenzialmente estraeva dall'economia ricchezza per se stessa. Una condizione che porta sempre a uno stato permanente di conflitto all'interno della stessa classe dominante che non ha risorse infinite per accontentare tutte le bande.
Uno scontro che trasforma piano, piano una democrazia, prima in un'oligarchia e poi in una dittatura, attraverso la manipolazione delle leggi e poi con l'uso repressivo di pretoriani (polizia, magistratura, fisco e forze armate) per tentare di mantenere lo status quo contro altri pezzi delle elite, e dopo, contro tutto un popolo ormai immiserito.
E la storia dell'Argentina diventa un racconto di continui colpi di stato, fra dittature feroci e quelle da operetta come quella di Juan ed Evita Peron (e non ha caso ci hanno fatto un musical!)
E poi decine di migliaia di desparecidos, drogati e scaraventati a mucchi nell'Atlantico dagli aerei militari. E la stupida guerra delle Falkland contro una Thatcher arrapatissima nel voler far vedere di avere abbastanza palle da mandare i gurka di Sua Maestà a scannare i poveri soldatini argentini e un sommergibile nucleare ad affondare un vecchio incrociatore catorcio nel Rio della Plata.
E poi ancora tanti altri finti presidenti democratici che alla fine devono dichiarare il fallimento dello stato con il default dei famosi bond argentini che tanti avidi ingenui italioti avevano comprato a piene mani fidandosi del bancario amico...del giaguaro.
Mutatis mutandis, mi sembra che anche questo nostro paese stia percorrendo, (dal 1976), questo cammino "argentino" di lungo periodo, portato avanti con subdole leggi, leggine e piccoli e grandi atti repressivi di una burocrazia che cerca solo di salvare la propria sedia.
Un cammino non del tutto evidente ma il cui effetto si dispiega quando i Presidenti della Repubblica devono di frequente chiamare tecnici (Fazio e Monti) a commissariare uno stato dove le fazioni politiche, ormai ridotte a bande affaristico-criminali, non sono più in grado di spartirsi in pace quel bottino ottenuto con tasse variegate, imposte assortite e fantasiosi balzelli ai danni di quei masochisti che si ostinano a produrre in Italia.

mercoledì 2 maggio 2012

Preghiamo

Come sfortunato abitante e suddito di questa sgangherata repubblica c'é d'augurarsi che Monti e i suoi tecnici possano potare a dovere il rovo spinoso e pieno di serpi velenose che é ormai la nostra amministrazione pubblica.

Ma la veritá e che non c'é da essere fiduciosi perché l'approccio dei tecnici é troppo simile a un ricognitore che da alta quota cerca di fotografare una situazione che poi dovrà essere spianata con un bombardamento di precisione.

Purtroppo la guerra la stiamo perdendo e il tempo di tagli chirurgici e "tecnici" non c'é. Non é il momento di lunghe e defatiganti discussioni con burocrati che prima di eseguire un ordine di taglio, di trasferimento o di accorpamento chiederanno esaustivi e corazzati pareri ai loro giuristi interni, o a costosi consulenti e magari all'avvocatura di stato, con la conseguenza che quel risparmio urgente, sommato a tanti altri similari, non si farà, e se si farà, sarà un mezzo aborto che, alla fine dei conti, sarà più costoso del taglio che si voleva fare.

Questo é il momento della forza bruta, é venuto il tempo di un bombardamento a tappeto che abbatta per sempre la fabbrica delle tonnellate di carte che bloccano l'ammistrazione pubblica e pesano sui conti di ogni italico cittadino.

Purtroppo non credo sia nelle capacitá di Monti & C. usare il massimo della forza bruta per abbattere il mostro. Non ce li vedo il pio Monti, il tagliator cortese Bondi e il professor Giavazzi, lancia in resta, colpire alla giugulare un drago fatti di 5 milioni di statali, parastatali e dipendenti di finte SpA con socio unico in un ente pubblico.

Ma possiamo sempre sperare in un miracolo e perciò: preghiamo.

martedì 14 febbraio 2012

2012 odissea nel bollo auto

Comprata un'auto a febbraio 2011 da un concessionario, mi viene detto che, ovviamente, bisogna pagare il bollo, e diligintemente vado da una concessionaria autorizzata alla riscossione della tassa auto, ma mi viene detto che i periodi intermedi loro non li gestiscono e che devo rivolgermi all'ACI.

Presi due mezzi e mezza giornata, effettivamente all'ACI mi fanno pagare il bollo.

Ovviamente, risolto con l'andata fisica all'ACI l problema del periodo intermedio, cerco di pagare il bollo del 2012 online, perchè credevo di vivere in una nazione moderna e per di più a Milano, capoluogo della Lombardia, tra l'altro destinataria dei soldi del bollo auto.

Perciò vado su internet dove sul sito dell'ACI, alla pagina http://www.aci.it/?id=891 , ci sono varie opzioni per pagare senza doversi fisicamente spostare, fra cui quella di servirsi del servizio www.bollonet.it che, oltre che essere criptico e richiedere dati inutili, e dopo molti tentativi infruttuosi, capisco che proprio non è adatto a pagare il bollo.

Allora telefono al numero verde, dove una gentile, cortese ed efficiente operatrice catanese mi dice che c'è un altro sito (però non citato dalle pagine dell'ACI), il sito www.tributi.lombardia.it dove invece le cose funzionano, perchè lei, sempre diligente e cortese, ha provato a mettere la targa (solo la targa!) e magicamente il sistema ha fornito importi da pagare e anche l'opzione di pagare online, che però non funziona, perchè il sistema bancario che deve eseguire la transazione rifiuta il pagamento e senza dare spiegazioni.

Cambio carta. Magari qualla gli piace. Ma la VISA chiede dei dati di sicurezza con un altro pannello criptico che inspiegabilmente m'impedisce di andare avanti.

Allora mi ricordo che la pagina http://www.aci.it/?id=891 dice che si si può pagare tramite telefono, dove qualche volta ho pagato anche il canone RAI, ma dopo la solita attesa, l'operatrice mi dice che deve chiedere se si può pagare il bollo via telefono, riferendomi poi una risposta negativa: perciò l'ACI dice una cosa non vera, o forse solo obsoleta, che nessuno però ha provveduto a cambiare sul sito web.

Risultato dell'odissea di un cittadino italico che vuole pagare una tassa nel 2012?

Andare alla posta. Come nel 1861.

Moooooooonti!