giovedì 17 gennaio 2008

Il sogno unitario è finito

Il mugugno e la rivolta in alcune regioni contro la richiesta di aiutare lo smaltimento dei rifiuti campani sono uno dei sintomi che il sogno dei Confalonieri (Federico, non Fedele), Mazzini (Giuseppe, non Mina), Battisti (Cesare, non Lucio) è ormai finito.

Ma ce ne sono anche altri sintomi, come le pretese di una fondazione siciliana di continuare a fare il bel tempo (per chi è a loro caro) nel Banco di Sicilia che, formalmente, avrebbe un capo, Alessandro Profumo, che va cianciando di Unicredit banca multinazionale quando non riesce nemmeno ad essere multiregionale.

Poi c’è l’affare Malpensa dove in una delle zone più ricche del mondo (sulla carta?) non si è trovato un gruppo di milionari (con banche alle spalle) per comprarsi Alitalia e nemmeno c’è in vista qualcuno con i soldi in bocca che possa costituire una Alipadana o Alilombrardia o Aliceltica.
Poi ci sono i vari indipendentisti serenessimmi, sardi, crucchi, valdostani, friulani, cui si aggiungono piemontesi con tanta voglia di rimettersi a 90 sotto a Vittorio emanuele IV in Marina Doria e quelli napoletani che sognano il Borbone in Camilla Crociani.
Per non parlare dei romani che si vedrebbero bene sotto al papa re, magari un po’ puttaniere ed incestuoso come Alessandro Borgia.
Infine le regioni rosse e grasse dove sotto, sotto si spera ancora che arrivi Baffone-Putin a mettere tutti allineati e coperti.
Questa è l’Italia del 2008, un paese diviso, dove ci si odia e ci si becca come i polli di Renzo, senza rendersi conto che si sta per finire tutti nello stesso posto: con uno bello spiedo nel sedere per farci mangiare da francesi e spagnoli. Come sempre.
C’è in in giro una voglia matta di scannarsi e se non lo facciamo è perchè il coraggio non ce lo possiamo dare. Però questo continuo beccarsi alla fine favorisce solo la concorrenza straniera che, in alcuni casi, è l’unico modo per salvare qualcosa. D’altra parte il nostro maggiore romanzo che cosa racconta? Di una ragazzotta che, contro il suo interesse, non vuole darla allo spagnolo. Dapprima si cerca salvezza sotto le tonache delle monache di Monza e dei frati e poi, ultima spes, si va da uno tanto più fetente di quel camorrista di Don Rodrigo che ancora dopo due secoli non lo si poteva ancora nominare.
Cosa è cambiato da allora? Niente! Cosa ci ha portato l’unità? Una speranza! Chi l’ha distrutta? Il regionalismo che, invece di migliorare la vita degli italiani, ha esasperato le divisioni e, cosa non secondaria, ha fatto aumentare il debito pubblico moltiplicando per 20 al quadrato le occasioni di sprechi, ruberie, intrallazzi e, sopratutto, occasione di creare posti inutili, cosa che nessuno vuole vedere.
A questo punto sarebbe bene un atto notarile che sancisca il ritorno allo status quo ante unità (più o meno) in modo pacifico, come si è fatto in Cecoslovacchia, per evitare quello un po’ più trumatico dell’ex URSS e quello terribile della ex Jugoslavia.
Cari Mazzini, Confalonieri e Battisti, abbiamo buttato nel cesso il vostro sogno, ce ne scusiamo, ma sarete d’accordo non ce lo meritavamo.

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